Il teatro d’attore, quello di figura e la danza attingono a un ricchissimo patrimonio mitico, costituitosi nel corso dei millenni con l’apporto di differenti popoli e culture. A consolidare e diffondere miti, credenze e riti che hanno sostanziato il cosiddetto Hinduismo fino ai giorni nostri è stato soprattutto il genere epico.
“Mahābhārata” e “Rāmāyaṇa”, le due grandi epopee composte nel lungo arco di tempo fra il IV sec. a.C. e il IV sec. d.C., hanno profondamente segnato la cultura indiana a tutti i livelli. Le saghe dei guerrieri, cantate fin dal primo millennio a.C. dai bardi che partecipavano alle battaglie come scudieri e dai trovatori itineranti, furono rielaborate dai brāhmaṇa, gli appartenenti alla casta sacerdotale, che videro nell’epica un mezzo efficacissimo di divulgazione delle proprie idee religiose, morali e sociali. I compilatori attinsero anche al più antico sostrato culturale indiano, quello “dravidico” [1], popolato di personaggi dall’incarnato scuro, di donne indipendenti e volitive e di animali profondamente umanizzati, accogliendo costumi familiari e sociali estranei alla cultura “arya”[2] di cui i brāhmaṇa erano portatori.
Eroismo, amore, avventura – sentimenti e situazioni dominanti le due epopee – ben si prestavano (e si prestano) alla rappresentazione teatrale in tutte le sue forme.
Oltre al “Mahābhārata” e al “Rāmāyaṇa”, un altro settore letterario offrì innumerevoli spunti mitici: quello dei “Purāṇa”[3]. Articolati in diciotto opere maggiori e altrettante minori [4], i testi sono stati composti tra i primi secoli della nostra era e il XII sec. circa, in onore di dei, luoghi sacri, riti e culti.
Va ancora citato il vasto campo della narrativa popolare, non solo in sanscrito – come invece tutte le opere sopra menzionate -, ma anche in pracrito, le lingue locali derivate dal sanscrito e assurte poi a dignità letteraria. Protagonisti delle storie non sono più dei ed eroi, ma personaggi umani colti sullo sfondo del quotidiano.
M.A.
NOTE
[1] L’aggettivo è riferito alle popolazioni che colonizzarono l’India attorno al VI/V millennio a.C. e al sostrato culturale tutt’ora presente nell’India del Sud, ove si parlano lingue dravidiche.
[2 ] Il termine deriva dal vocabolo ārya, che compare nei “Veda” con il significato di “nobili”. Da qui il nome “Arii”, dato a popolazioni parlanti lingue indo-iraniche, affiliate alla famiglia linguistica del cosiddetto indo-europeo.
[3] Il termine significa “Antico”, designando in questo modo verità che trascendono lo spazio e il tempo e che quindi sono paradigmatiche.
[4 ] Secondo un’altra classificazione gli “Upapurāṇa”, ovvero quelli minori, sarebbero una ventina.