Il teatro indiano di figura – ove la rappresentazione è condotta con l’ausilio di oggetti azionati dall’uomo – si articola principalmente in:
* teatro delle marionette
* teatro dei burattini
* teatro delle ombre
Espliciti riferimenti ai generi sopra citati compaiono in numerose opere letterarie precedenti la nostra era, attestandone così l’origine molto antica [1]. Un chiaro rimando al teatro di figura appare nel termine sūtradhāra, letteralmente “colui che regge i fili” [2], che nel teatro classico e in certi ambiti del teatro popolare definisce il direttore di scena o comunque un personaggio centrale per la messa in opera della rappresentazione.
La produzione di marionette e burattini sembra inoltre collocarsi nel più vasto ambito dei congegni meccanici, yantra, usati in scena e non. Nel “Samarāṅgaṇasūtradhāra” del re Bhoja del XI sec. un intero capitolo è dedicato a curiosi marchingegni, tra cui bambole capaci di cantare, danzare e suonare strumenti musicali [3].
Il teatro di figura è inoltre usato come metafora della vita: il “Mahābhārata”, la più grande epopea indiana composta fra il IV sec. a.C. e il IV sec. d.C., paragona l’uomo in balia del fato alla marionetta appesa ai fili…
M.A.
NOTE
[1] Addirittura lo studioso Jacques Chesnais nel suo “Histoire générale des marionettes” pubblicato a Parigi nel 1947 sostiene che le marionette sarebbero state inventate in India.
[2] In ambito letterario il termine sūtra significa “filo conduttore”, nel senso di qualcosa che lega più concetti fra loro e viene in genere tradotto come “aforisma”, ovvero forma espositiva che condensa significati fondamentali.
[3] Oggetti con parti mobili, giocattoli o offerte votive che fossero, sono stati trovati negli scavi di Mohenjo Daro e Harappa, due delle principali località della Civiltà della Valle dell’Indo, ascritta al III millennio a.C. e fiorita nelle zone nord-occidentali del subcontinente indiano.