di Ileana Di Nallo
L’avvento della Repubblica Popolare determinò un’ulteriore nuova epoca per il teatro cinese. La forte coesione politica del governo e la forte influenza della sua ideologia offrì maggiori possibilità, rispetto ai periodi precedenti, sia di promuovere che di gestire le attività teatrali. Ad una certa libertà di azione nell’ambito drammaturgico, di fatto esistente nei primi anni della Repubblica Popolare, andò a mano a mano sostituendosi un sempre più pesante controllo delle attività teatrali che sfociò poi nella terribile repressione di qualsiasi spettacolo che non seguisse le direttive dettate dal Partito Comunista per un teatro proletario e rivoluzionario, sostenuto in particolare dalla moglie di Mao, Jiang Qing (江青, 1914-1991), durante la Rivoluzione Culturale (ca. 1966-1976).
Dopo il 1949, il governo si apprestò ad attuare una vera e propria nazionalizzazione del teatro, istituendo numerosi teatri statali a livello centrale, provinciale e municipale, di dramma parlato, portandolo così al livello di teatro nazionale, insieme all’Opera di Pechino e ad alcune varietà teatrali locali. A causa della sua origine e del suo sviluppo, intimamente connessi alla politica e alla situazione storica, in questi anni si rafforzò ancor di più l’idea che identificava questo genere ad uno strumento di propaganda e come tale lo si utilizzò a partire dagli anni Cinquanta.
Con lo spostamento della capitale a Pechino e con l’emergere di una forte organizzazione politica centralizzata, questa città divenne il centro indiscusso dello sviluppo culturale e teatrale e in tutto il paese vennero costruiti nuovi edifici e vennero fondate nuove istituzioni dedicate alle attività teatrali. Guo Moruo nel suo libro Culture and Education in New China per evidenziare la crescente importanza del teatro in Cina descrisse in questo modo la presenza di strutture teatrali e cinematografiche nel 1950:
La Cina ora ha tre studi cinematografici statali nel Nord-Est, a Pechino e a Shanghai, che producono i due terzi dei film di tutto il paese, ci sono poi, quattro importanti studi cinematografici privati. In tutta la Cina ci sono 467 cinema, dei quali 206 sono pubblici, 10 semiprivati e 251 privati […] nelle 18 città più grandi, a sud della Grande Muraglia ci sono 151 teatri, mentre ce ne sono 82 nel Nord-Est. Ci sono, inoltre, 400 compagnie teatrali e 40.000 tra attori, musicisti, cantanti, ballerini in tutto il paese […] [1]
Vennero rinnovati i vecchi teatri e ne furono costruiti molti nuovi di grandi dimensioni, simili ai teatri occidentali, con una struttura differente del palcoscenico, con platee con sedili più comodi, vennero eliminate le panchine e i tavoli da tè e la rappresentazione teatrale ora divenne la cosa più importante. Tra i teatri di questo tipo si possono ricordare lo Shoudu juchang (首都剧场, Teatro della capitale), costruito nel 1956 al centro di Pechino, con attrezzature, impianti luce e acustico del tutto moderni, con un ampio spazio dedicato al backstage, con comodi camerini in grado di ospitare fino a duecento attori a volta e il Beijing Yinyue Ting (北京音乐厅, Auditorium della musica di Pechino), con circa 3.000 posti a sedere.
Le attività teatrali ricevettero così un grande stimolo e si formarono molte nuove organizzazioni, come l’Associazione di Drammaturghi Cinesi (Zhongguo xijujia xiehui, 中国戏剧家协会), fondata nel luglio del 1949 e l’Accademia Drammatica Centrale (Zhongyang xiju xueyuan, 中央戏剧学院), che divenne una delle scuole teatrali più influenti di tutto il paese e che basava le proprie tecniche di recitazione sul metodo Stanislavskij. Le più grandi opere di teatro parlato erano rappresentate dal Teatro d’Arte del Popolo di Pechino (Beijing renmin yishu juyuan, 北京人民艺术剧院), e dal Teatro Shoudu, del quale Cao Yu era presidente.
Il nuovo governo dava pari importanza sia al teatro tradizionale sia a quello moderno purché consoni entrambi alle nuove direttive. Nel 1950 venne costituita una Commissione Centrale per la Riforma Teatrale e l’Opera di Pechino fu sottoposta ad una riforma piuttosto radicale che previde l’introduzione di tematiche contemporanee, di abiti moderni, la “rilettura” dei testi classici secondo i principi della rivoluzione, oltre a una serie di modifiche e innovazioni formali e artistiche. Il repertorio classico andò soggetto ad un rigoroso processo selettivo e molte opere furono riscritte per eliminare i “residui feudali”.
Nel 1952 fu istituito un ufficio per l’Opera presso il Ministero della Cultura e fu chiesto a Mei Lanfang di fondare e dirigere a Pechino una scuola pubblica specializzata per attori tradizionali e un istituto di ricerca storica: nacque così l’Istituto per il Teatro Musicale Cinese (Zhongguo xiqu xueyuan, 中国戏曲学院), la scuola nazionale per gli attori dell’Opera di Pechino. Sebbene si favorisse un certo recupero della professione degli attori che, grazie alla nazionalizzazione dei teatri garantiva a tutti un impiego e una preparazione, tuttavia, gradualmente, si iniziò ad attuare una forte censura sugli spettacoli: nel repertorio furono cancellate numerose opere perché il loro contenuto era considerato immorale e antipatriottico nonché pieno di vecchie superstizioni feudali. La ricerca di nuovi temi per le opere andava effettuata pensando alla realtà contemporanea, al bisogno di servire la causa della rivoluzione e del popolo.
Questa riforma obbligata dell’Opera tradizionale fu in realtà una revisione accurata per censurare tutto quanto potesse rimandare alla Cina imperiale e feudale ma questa operazione significava anche sconfessare tutto ciò che rinviava al passato, in pratica alla storia stessa della Cina. La censura, tuttavia, non riguardava la tecnica di recitazione, che continuava ad essere applicata ai nuovi contenuti. Un esempio famoso di questo tipo di opere riformate fu La concubina ubriaca (Guifei zuijiu, 贵妃醉酒), di Mei Lanfang, in cui si racconta un episodio della famosa storia d’amore fra la bella concubina Yang Guifei e l’imperatore Xuanzong della dinastia Tang. La vicenda metteva in scena la disperazione di Yang Guifei che un giorno, dopo aver atteso invano l’arrivo del suo amato sovrano, scopre che costui ha preferito visitare il padiglione di un’altra concubina.
La storia originale vedeva nella delusione di Yang Guifei, e nel suo successivo ubriacarsi, un quadro sensuale della corrotta società feudale: la nuova interpretazione poneva invece l’attenzione sul tema della donna oppressa e soggetta ad angherie dalla società feudale che permetteva il concubinaggio.
Nonostante questa drastica riforma, in questo periodo ci fu un ritorno di interesse verso il teatro tradizionale, dimostrato dalle numerose pubblicazioni di manuali su tecniche di recitazione dell’Opera di Pechino, memorie di attori e altre raccolte teatrali, come la collezione fotolitografica intitolata Guben xiqu congkan (古本戏曲丛刊, Collezione di antiche edizioni teatrali, stampato tra il 1954 e il 1958) [2], in cui vennero pubblicate molte opere del teatro Yuan, Ming e Qing. Altri lavori di questo tipo furono Zhongguo difang xiqu jicheng (中国地方戏曲集成, Collezione completa di Opere regionali), prima raccolta di drammi regionali; edizioni con annotazioni di antichi drammi tradizionali come Il palazzo della vita eterna (Chang sheng dian, 长生殿), Il ventaglio dai fiori di pesco (Tao hua shan, 桃花扇), Il racconto della camera occidentale (Xi xiang ji,西厢记), collezioni di zaju del periodo Yuan e Ming o di chuanqi di epoca Ming e Qing e così via.
Si verificò invece una diminuzione di traduzioni di testi teatrali stranieri e si fece una più attenta selezione, soprattutto per motivazioni ideologiche, che, per quanto riguarda la letteratura dell’Europa occidentale e dell’America, restrinse il campo ad un numero limitato di autori, tra i quali il nostro Carlo Goldoni, Henrik Ibsen, Bernard Shaw, Shakespeare e più tardi Brecht [3]. È abbastanza facile comprendere che il resto delle traduzioni straniere, che ne costituiva anche la maggior parte, provenisse dalla letteratura russa.
Gli stretti rapporti che la Cina intratteneva con l’Unione Sovietica determinarono non solo una gran quantità di traduzioni, ma anche l’importazione del modello e delle esperienze del Teatro d’Arte di Mosca e della scuola di recitazione secondo il metodo di Stanislavskij, il cui apporto rafforzò ulteriormente la funzione politica del teatro parlato e, soprattutto, consentì per tutta la durata degli anni Cinquanta e Sessanta uno stile di recitazione basato sul metodo dell’artista russo, cioè sull’identificazione dell’attore con il personaggio, concezione molto lontana dallo stile tradizionale cinese, in cui l’attore può definirsi “straniato”, cioè non immedesimato, e con un certo distacco guarda la sua parte e racconta il personaggio. Non tutti i teatranti accolsero il metodo Stanislavskij, anzi, alcuni di loro si dedicarono alla ricerca di uno stile più vicino alla tradizione cinese che potesse, per questo, essere più facilmente accettato dal pubblico: il Teatro d’Arte del Popolo di Pechino (Beijing renmin yishu juyuan, 北京人民艺术剧院) e il suo direttore generale Jiao Juyin (焦菊隐, 1905–1975) contribuirono molto al successo di questa ricerca.
Il Teatro d’Arte del Popolo, inaugurato nel 1950 con Cao Yu come supervisore artistico, è sempre stato considerato il teatro nazionale del dramma parlato, ha sempre cercato di mantenere un repertorio ricco e vario e uno stile drammatico rappresentativo basati sulla tradizione teatrale cinese. Il suo repertorio comprendeva sia rappresentazioni di opere originali cinesi, sia traduzioni di capolavori stranieri. In particolare si lavorava sulle opere di Guo Moruo (郭沫若, 1892-1978), Cao Yu, Lao She, Ouyang Yuqian e Xia Yan (夏衍, 1900-1995). La sua prima produzione fu Il fosso di Longxu (Longxu gou, 龙须沟) di Lao She del 1950, che dipingeva i cambiamenti avvenuti nel quartiere malfamato di Pechino, il fosso di Longxu, dopo la fondazione della Repubblica Popolare Cinese. Anche se era evidente una certa influenza della propaganda, tuttavia la capacità letteraria dell’autore nel ritrarre personaggi tipici di Pechino e il suo tocco artistico evitarono l’eccessiva pesantezza drammatica imposta dalle tematiche politiche [4].
La notorietà del Teatro d’Arte del Popolo di Pechino in tutto il paese venne raggiunta grazie al successo della seconda opera dello stesso autore, Casa da tè (Cha guan, 茶馆, 1957). Quest’ultima, rappresentata per la prima volta nel 1958 con la regia di Jiao Juyin e di Xia Chun (夏淳, 1918 -), narrava le vicende che si susseguivano in una casa da tè nell’arco di tempo che andava dalla fine della dinastia Qing, attraverso il periodo dei signori della guerra negli anni Venti, fino alla fondazione della nuova Cina alla fine degli anni Quaranta. La narrazione procedeva attraverso brevi episodi di storie personali degli avventori della casa da tè, storie che si intrecciano nel finale. L’ambientazione forniva uno scenario ideale per l’indagine psicologica e la caratterizzazione dei personaggi. Quest’opera presentava uno spaccato della società cinese, della vita pechinese contemporanea e delle tematiche relative alla liberazione del popolo, che sarebbero tornate d’estrema attualità anche dopo il periodo della Rivoluzione Culturale degli anni Sessanta.
Oltre a Lao She, anche Guo Moruo scrisse alcuni testi per il Teatro d’Arte del Popolo di Pechino, quali Cai Wenji (蔡文姬, 1959) [5] e Wu Zitian (武則天, 1960) [6]; comunque, fra i pezzi più rappresentati del repertorio vi erano Temporale, Alba, Gente di Pechino di Cao Yu. Inoltre un vasto numero di opere occidentali, dai capolavori di Shakespeare al Gabbiano di Cechov, fino ad alcuni pezzi moderni di successo come Morte di un commesso viaggiatore di Arthur Miller o, negli anni successivi, Amadeus di Peter Shaffer, entrarono a far parte del suo repertorio. Tutte queste rappresentazioni furono caratterizzate dallo stile di recitazione creato dal direttore generale del teatro Jiao Juyin, divenuto famoso in seguito con il nome di scuola di recitazione del Teatro d’Arte del Popolo (renyi yanju xuepai, 人艺演剧学派), in cui si fondevano elementi del teatro occidentale con quelli del teatro cinese tradizionale e che in seguito diede impulso al lavoro di sperimentazione nel dramma parlato degli anni Ottanta.
Così come Jiao Juyin aveva intrapreso una lunga ricerca per la creazione di uno stile cinese per il dramma parlato nel nord, Huang Zuolin (黄佐临, 1906-1994) cercò di raggiungere lo stesso intento con il Teatro d’Arte del Popolo di Shanghai (Shanghai renmin yishu juyuan, 上海人民艺术剧院) nel sud, sebbene in maniera diversa. Huang Zuolin studiò teatro in Inghilterra, dove ebbe occasione di ampliare notevolmente le sue conoscenze sul teatro europeo, al suo ritorno in Cina, verso la fine degli anni Trenta, iniziò a insegnare in alcune scuole e università e intraprese immediatamente la ricerca di una “via cinese” al teatro parlato. Nel 1941 fondò un gruppo teatrale chiamato la Compagnia Professionale di Shanghai (Shanghai zhiye jutuan, 上海职业剧团) e nello stesso tempo diresse, in quella città, anche altri gruppi. L’impegno sociale e la sua partecipazione al movimento di resistenza antigiapponese, così come la disposizione all’umorismo, caratterizzarono i suoi primi scritti teatrali. In questo primo periodo di attività teatrale, che possiamo definire di apprendimento e di formazione, si occupò soprattutto di riadattare commedie europee trasformandole in satire sociali della Cina del tempo. Persino nelle sue poche tragedie l’autore cercò di infondere una vena comica per renderle più piacevoli e apprezzabili a un pubblico più ampio. Esemplari in questo senso sono L’eroe dei giorni turbolenti (Luanshi yingxiong, 乱世英雄), un adattamento del Macbeth di Shakespeare fatto da Li Jianwu, e L’albergo notturno (Ye dian, 夜店), un adattamento de L’albergo dei poveri di Gor’kj [7].
Gli sforzi maggiori dell’attività teatrale di Huang Zuolin si concentrarono in particolare nella ricerca di uno stile moderno più cinese che contrastasse il metodo russo di Stanislavkij, troppo lontano alla tradizione teatrale cinese. Secondo lui ci si doveva rifare ad altri tipi di teatro occidentale che fornissero degli esempi di modernità, ma che allo stesso tempo non fossero troppo lontani dal teatro cinese, in modo da essere assimilati più facilmente per creare finalmente un teatro moderno veramente cinese. Si avvicinò, così, soprattutto al teatro epico di Bertolt Brecht, del quale nel 1959 mise in scena Madre Coraggio e i suoi figli.
Huang Zuolin ritrovò in questo autore degli elementi della recitazione tradizionale cinese, in particolare ritrovò una caratteristica che era sempre appartenuta al teatro tradizionale cinese: il concetto di “straniamento”, l’attore deve “guardarsi” recitare e non identificarsi con il personaggio. Inoltre, pochi anni prima proprio Bertolt Brecht, dopo aver assistito a Mosca ad uno spettacolo di Opera cinese era rimasto colpito dall’interpretazione dell’attore cinese tanto da scrivere poi nel suo Scritti teatrali [8] che la soluzione che stava tanto ricercando risiedeva proprio nel modo di recitare dell’attore cinese Mei Lanfang, che impersonava, appunto, il suo concetto di “straniamento”. Huang Zuolin in questa sua ricerca per uno stile moderno trasse notevole ispirazione anche da un altro autore: nel 1961 il regista cinese organizzò a Shanghai una conferenza durante la quale presentò il teatro italiano della commedia dell’arte e parlò di Carlo Goldoni quale esempio di modernità, accostando il personaggio di Arlecchino al chou (丑, buffone) del teatro tradizionale cinese.
Con il passare degli anni, la censura del governo iniziò a farsi sempre più pressante. Precedentemente il forte individualismo e l’indipendenza di alcuni grandi drammaturghi aveva servito la causa generale dell’opposizione al governo nazionalista, ma ora che il nuovo governo era salito al potere, esso cercò di stabilire una maggiore conformità politica, con la quale i concetti di individualismo e indipendenza non andavano d’accordo. Gradualmente, drammaturghi e scrittori subirono la pressione del governo per conformarsi sempre di più all’ideologia ufficiale del Partito Comunista. Molti comunicati del Partito esponevano le linee politiche e letterarie e le limitazioni per gli scrittori. La scelta delle tematiche e delle forme di espressione dovevano essere assolutamente limitate ai confini ammessi dall’ideologia del nuovo ordine politico. Anche le figure letterarie più importanti dei primi anni della Repubblica Popolare come Guo Moruo, Zhou Yang (周扬, 1908-1989), Mao Dun, Lao She e Cao Yu caddero presto nel mirino della critica. Lao She venne criticato per la sua mancanza di ideologia; le opere scritte da Guo Moruo vennero accusate di essere troppo antiquate, Mao Dun fu rimosso dalla carica di Ministro della Cultura nel gennaio del 1965 e Zhou Yang, nonostante fosse stato uno dei massimi critici letterari di stampo marxista, durante la Rivoluzione Culturale fu accusato di essere controrivoluzionario, fu attaccato duramente, allontanato dalla scena letteraria e riammesso solo dopo la morte di Mao nel 1976 [9]. Quello che la struttura governativa dominante voleva era cambiare la mentalità dei drammaturghi più famosi e educarne di nuovi secondo la direzione desiderata. A questo scopo molti scrittori furono inviati per brevi periodi nelle fabbriche, nelle campagne e tra i soldati dell’esercito nelle zone della guerra di Corea (1950-1953). Per citare alcuni esempi, Cao Yu fu inviato nelle campagne nel luglio del 1950 e nelle fabbriche nel marzo del 1952, Tian Han, Lao She, Hong Shen, Xiong Foxi tra il 1951 e il 1953, furono mandati in Corea.
Era evidente che l’idea del teatro come forma d’arte popolare rivolta alle masse doveva essere continuata e intensificata. La speranza di creare un’organizzazione su scala nazionale che abbracciasse la causa di un teatro rurale amatoriale divenne vera e propria realtà. Dal 18 al 29 luglio del 1951, il Ministero della Cultura tenne una conferenza sulle arti e formulò un piano per quanto riguardava l’arte dilettantistica. La politica da seguire consisteva nel consolidare e sviluppare le attività artistiche popolari amatoriali nei villaggi rurali e nelle fabbriche. Tutte le organizzazioni culturali e teatrali dovevano supportare i gruppi amatoriali e fornire materiale adeguato per le rappresentazioni a tali esigenze. Gli organi governativi erano, quindi, sempre più pesantemente coinvolti nelle attività dilettantistiche e si richiedeva ai professionisti di fornire il loro aiuto sia a livello formale sia a livello organizzativo.
Lo scopo principale dell’importanza data al teatro amatoriale era ovviamente ideologico: promuovere l’entusiasmo per il corrente ordine politico e sociale stabilito. Colin Mackerras, citando una parte di un articolo di Zhu Dannan (朱丹南) drammaturgo e regista teatrale, scrive che durante un festival nella regione del Sichuan, alcuni attori amatoriali erano stati lodati perché il loro lavoro era “strettamente integrato con le direttive del Partito secondo le quali l’arte e la letteratura devono servire la politica proletaria, lo sviluppo della produzione, i lavoratori, i contadini e i soldati [10]”.
Dopo il Movimento dei Cento Fiori (1956-1957) e la successiva Campagna Anti-Destrista (1957), il governo sentì ancor di più l’urgenza di inviare compagnie teatrali nelle campagne, divenendo parte integrante della politica adottata durante il Grande Balzo in Avanti del 1958. Nel dicembre del 1957, il Ministero della Cultura tenne a Pechino una conferenza sul teatro nella quale rese manifesta la necessità di un maggior impegno delle compagnie professioniste nelle loro attività rurali. Il vice ministro alla Cultura Liu Zhiming, in occasione della conferenza tenne un discorso nel quale espresse la linea politica da adottare:
1 – Le compagnie teatrali cittadine devono andare nelle campagne e recitare per i contadini per poter consolidare e rafforzare “l’alleanza con i contadini e i lavoratori” e allo stesso tempo portare avanti l’istruzione socialista nelle campagne.
2 – Questo incoraggerà la produzione attiva tra i contadini e velocizzerà la costruzione socialista nei nuovi villaggi.
3 – Attraverso l’istruzione artistica sarà possibile dare uno slancio allo sviluppo della vita culturale amatoriale di massa nei villaggi contadini [11].
Le compagnie teatrali professioniste dovevano recarsi nelle campagne con il compito di istruire i dilettanti e dare loro ispirazione attraverso la loro arte. Gli operai e i contadini a loro volta dovevano fornire le idee per la scrittura di nuovi lavori teatrali che le compagnie professioniste avrebbero dovuto rappresentare.
La linea politica incentrata sulle masse raggiunse il suo apice, almeno per quanto riguarda l’importanza attribuitagli dal Partito, durante la Rivoluzione Culturale (1966-1976). Fu proprio in questo periodo che si sviluppò una forma di teatro che concretizzava in maniera cosciente e minuziosa i principi racchiusi nei Discorsi alla conferenza di Yan’an sulla letteratura e l’arte di Mao. Dal 1963, la moglie di Mao, Jiang Qing, iniziò ad imporre il proprio dominio sul teatro e nel 1964, nel corso di un festival teatrale pronunciò un discorso sulla rivoluzione dell’Opera di Pechino in cui proponeva un “teatro modello” a sfondo sociale denunciando il fatto che “gli operai, i contadini e i soldati, unici creatori della storia e soli padroni del loro paese socialista diretto dal Partito comunista, non avessero sulla scena un posto predominante” [12]. Jiang Qing non volle rompere del tutto i legami con il passato e non rifiutò i drammi tradizionali, ma propose un’ulteriore “revisione” dei libretti dell’Opera di Pechino al fine di “renderli più consoni ai nuovi tempi e alla nuova ideologia, facendo risaltare i personaggi positivi per dare un’immagine artistica dei rivoluzionari d’avanguardia allo scopo di educare e di galvanizzare il pubblico e di trascinarlo nella marcia in avanti” [13].
Conseguenza delle dichiarazioni della potente compagna di Mao furono le cosiddette opere modello (yang ban xi, 样板戏), che dell’Opera tradizionale mantenevano poco più che il nome. Questi furono anche gli anni in cui iniziò il duro scontro politico e ideologico tra le idee di Mao portate avanti dai suoi seguaci e quelle di una serie di potenti personaggi del Partito che vi si opponevano: una lotta dura, una guerra civile senza fucili, come fu chiamata, che terminò con la sconfitta dei “nemici del popolo”, la vittoria del “grande timoniere” e l’inizio della Rivoluzione Culturale portata avanti dalle Guardie Rosse.
Durante i dieci anni della Rivoluzione Culturale (1966 – 1976), la convinzione che il potere del teatro fosse una vera e propria arma da usare nella lotta politica fu rafforzata dal fatto che i capi della rivoluzione erano ideologi, critici letterari e, come la stessa compagna di Mao, artisti in campo teatrale. Paradossalmente si può affermare che fu proprio questo gruppo di intellettuali a distruggere il teatro cinese con la loro ossessione per il potere del teatro e la necessità di usarlo come un’arma: il teatro era un potente mezzo di propaganda, insostituibile in un paese in cui la popolazione era ancora priva di altri mezzi di comunicazione di massa.
Da quel momento in poi tutti gli sforzi si concentrarono sulla diffusione delle opere modello, opere che propagavano il marxismo, il leninismo e il pensiero di Mao Zedong, ed erano in grado di realizzare gli obiettivi educativi in campo ideologico e politico in stretto collegamento con il grande movimento rivoluzionario. Le opere modello ispirate e revisionate sulle nuove direttive erano soltanto otto: cinque opere vere e proprie, Zhiqu weihu shan (智取威虎山, La conquista della Montagna della Tigre), Hong deng ji (红灯记, Lanterne rosse), Haigang (海港, Il porto), Shajiabang (沙家浜), Qixi baihu tuan (奇袭白虎团, Incursione contro il reggimento della tigre bianca); due balletti, Baimao nü (白毛女, La ragazza dai capelli bianchi), Hongse niangzi jun (红色娘子军, Il distaccamento rosso femminile) e il concerto per pianoforte Huang he (黄河, Fiume Giallo).
Le opere “modello” dovevano illustrare il conflitto di classe e, sulla base di materiale preso dalla vita reale del popolo, gli eroi che esse rappresentavano dovevano essere eroi del proletariato, inequivocabilmente dalla parte delle masse di lavoratori, contadini, soldati e mostrare invece ostilità verso la borghesia. Furono diffuse e promosse con ogni mezzo, compreso il cinema, addirittura furono trapiantate nelle Opere locali, nei gruppi dilettanti in modo da raggiungere capillarmente anche l’estrema periferia del paese, furono trasmesse alla radio e insegnate a scuola. Delle forme dell’Opera di Pechino rimase poco: furono bandite molte delle convenzioni peculiari della tradizione come i ruoli-tipo, l’orchestra in scena, i costumi, per far posto a costumi contemporanei e a modi di recitare molto simili a quelli del teatro parlato. Rimanevano, comunque, canti, danze e altri aspetti derivati dall’Opera tradizionale che vennero rinnovati e adattati al momento storico contemporaneo. Ogni compagnia teatrale non poteva rappresentare, tuttavia, che questo ristretto repertorio o poco più. Lo slogan era infatti Otto opere modello per ottocento milioni di persone (Ba yi renmin ba ge xi, 八亿人民八个戏). Tutte le altre forme teatrali furono severamente proibite e così, come è facile immaginare, anche le traduzioni e le rappresentazioni di opere occidentali.
Il più grande effetto provocato sul teatro cinese dalla Rivoluzione Culturale non fu tanto il controllo ideologico sui testi e sui modi di rappresentazione, quanto la distruzione della tradizione attraverso un durissimo attacco mosso all’ambiente teatrale dalle Guardie Rosse. L’ambiente del teatro tradizionale soffrì moltissimo la Rivoluzione Culturale: la condizione degli attori andò soggetta da un lato a tutte le rivendicazioni antitradizionaliste (tenendo presente che l’arte degli attori non poteva che essere profondamente ancorata alla tradizione) e dall’altro a tutte le interdizioni politiche tipiche di una situazione di repressione e di mortificazione del passato. Furono così proibite tutte le rappresentazioni dell’Opera tradizionale, gli attori e gli scrittori di libretti furono privati dei loro diritti più elementari, costretti a umilianti rituali di autocritica, dispersi nei campi di “riabilitazione al lavoro manuale”, quando non fisicamente seviziati ed eliminati dal fanatismo brutale delle Guardie Rosse. Un bellissimo ritratto di questa situazione è contenuto nel film Addio mia concubina di Chen Kaige del 1993 tratto dall’omonimo romanzo di Lilian Lee, che racconta della vita degli attori dell’opera cinese tradizionale tra gli anni Venti del Novecento fino al 1976, l’anno della morte di Mao Zedong.
Ileana Di Nallo
NOTE
[1] Citato in William Dolby, A History of Chinese drama, London, Paul Elek, 1976, p. 233. Per l’originale cfr. Guo Moruo, Culture and Education in New China, Peking, Foreign Languages Press, 1950.
[2] Cfr. W. Dolby, op. cit., p.232.
[4] Cfr. Yu Weijie, Tradizione e realtà del teatro cinese, Milano, International Cultural Exchange, 1995, p. 214.
[5] Cai Wenji (nata nel 177), figlia del famoso funzionario e musicista Cai Yong (蔡邕, ca. 132-192), fu anche lei poeta e compositore durante la dinastia degli Han (206 a. C. – 220 d. C.). E’ famosa per aver passato circa dodici anni come prigioniera della popolazione nomade degli Xiongnu nelle regioni di confine del Nord. Fu poi liberata dal famoso condottiero, nonché ultimo primo ministro della dinastia Han, Cao Cao (曹操; 155 – 220), che pagò un’ingente somma per riscattarla nell’anno 207.
[6] Wu Zetian (625 – 705), conosciuta anche come Imperatrice Wu, fu l’unica imperatrice cinese a fondare la propria dinastia, chiamata Zhou 周e regnò col nome di “imperatore Shengshen” (Shengshen huangdi, 聖神皇帝) dal 690 al 705. La sua ascesa e il suo regno furono fortemente criticati dagli storici confuciani. Famosa per la sua spietatezza e gli intrighi di corte attraverso i quali riuscì a sbarazzarsi dell’imperatore suo marito e degli eredi al trono, suoi stessi figli, per realizzare la sua ambizione di proclamarsi imperatrice regnante.
[7] Cfr. Yu Weijie, op. cit. (1995), p. 219.
[8] Cfr. Bertolt Brecht, Scritti teatrali, Einaudi, Torino, 1975, p. 105.
[9] Cfr. W. Dolby, op. cit., p. 235.
[10] Cfr. Zhu Dannan, “Xiang ye yu xuexi, liangtiao tui zoulu, zhengqu qunzhong wenyi de gengda fanrong”, in Sichuan xiqu 2 (四川戏曲2, Il teatro del Sichuan 2), 10 Febbraio 1959, p. 5. Citato in Colin Mackerras, Chinese theater: from its origins to the present day, Honolulu, University of Hawaii Press, 1988, p. 162.
[11] Cfr. “Yishu biaoyan tuanti xiaxiang shangshan” (艺术表演团体下乡上山, Le compagnie teatrali vanno in campagna) in Xiju bao (戏剧报, Il quotidiano teatrale), n.60, 26 dicembre 1957, p. 8. Cit. in C. Mackerras, op. cit., p. 165.
[12] Cfr. Nanni Balestrini, Edoardo Sanguineti E. (a cura di), L’Opera di Pechino, Milano, Feltrinelli, 1971, p. 19.
[13] Cfr. Nicola Savarese, Il racconto del teatro cinese, Roma, Carrocci editori, 1997, p. 134.