Il Re e lo spettro
storie di un’anima vittoriosa
Drammaturgia e messa in scena di Enrico Masseroli
Testi e racconti tratti e rielaborati da
“Il re e il cadavere” di Heinrich Zimmer
e “Gli enigmi dello spettro” di Jambhaladatta
Enrico Masseroli performer
Giuseppe Olivini musico
Spazio Sirin
Via V. Vela 15, Milano
Sabato 6 maggio 2017 ore 20,30
ingresso libero a offerta
prenotazione consigliata: sirin@sirin.it
Il re, apparentemente perfetto nella sua pomposa quotidianità, viene irretito dal falso asceta “ricco di pazienza”. Aveva dimenticato che il dono crea un legame, un vincolo, fra chi dà e chi riceve; allora, per il gioco del caso – grazie ad una scimmia ghiottamente curiosa – accade che scatti la trappola. Il nostro re si ritroverà al cimitero di notte, intento a trasportare il cadavere di un impiccato, abitato da uno spettro che pare burlarsi di lui, costringendolo a risolvere i complicati enigmi dei suoi meravigliosi racconti. Colpevolezza ed innocenza, intimamente intrecciate in un sorprendente arabesco, sono raramente palesi. Siamo comunque sempre responsabili di ciò che accade: nulla ci è lontano, nessuno può essere trattato come estraneo.
Vetālapaňcaviṃśati (lett. La venticinquina dello spettro) è la raccolta di racconti più famosa dell’India. Tra essi abbiamo scelto quattro storie esemplari e l’ultima, quella che il re non saprà risolvere. Un silenzio che gli svelerà la via della salvezza.
Cambia te stesso, ed abiterai in un mondo nuovo. Grazie alla lunga, terribile notte, alla sua sincera buona volontà nel sopportare l’impresa, ed allo spettro insospettatamente amico, il re sarà trasformato: tratto dal mondo della pura apparenza, potrà accedere alla realtà del suo essere regale.
Quanti doni la vita ci offre tutti i giorni, senza ostentazione, senza esigere nulla, che noi non ci curiamo nemmeno di aprire? Ognuno di noi non è forse un frutto prezioso? Riusciamo, o almeno proviamo, a liberare dalla personalità quotidiana la gemma del suo seme essenziale?
Secondo la cosmogonia indiana l’universo è la danza di Śiva, il Signore supremo, perenne creatore e distruttore. Il nostro re è un suo avatāra (incarnazione) umano, dunque limitato dai suoi sensi, confinato nella sua saggezza, soggetto alla mortalità della sua forma. Ma lo spazio che li separa non è forse l’illusione necessaria allo spettacolo effimero della creazione? Al di là di ciò non v’è dualità: chi conosce e chi è conosciuto, il devoto e l’icona sacra, l’uomo mortale e il Dio eterno, non sono allora che uno.