Magie dell'India in mostra a Treviso

“Magie dell’India.
Dal Tempio alla Corte, capolavori d’arte indiana”

Treviso, Casa dei Carraresi
26 ottobre 2013 – 31 maggio 2014

Lo scrittore veronese Emilio Salgari scrisse i suoi più celebri romanzi dedicati all’affascinate Continente Indiano senza mai lasciare l’Italia. La stessa opportunità viene ora offerta ai visitatori della mostra “Magie dell’India. Dal Tempio alla Corte, capolavori d’arte indiana” che, dal 26 ottobre 2013 al 31 maggio 2014 alla Casa dei Carraresi di Treviso, potranno immergersi nel mondo magico dell’India, godendo di una rassegna di opere d’arte, per la prima volta in Italia, che spazia dal II millennio a.C. all’epoca dei Maharaja dove elementi architettonici, miniature, fotografie d’epoca, oggetti di uso rituale e quotidiano, costumi, tessuti, gioielli, accanto a statue e bassorilievi provenienti da importanti collezioni museali e private, sono stati collocati in un adeguato contesto scenografico che ne ricrea gli ambienti originari.

Parvati, XV sec., stile di Vijayanagara, bronzo, India meridionale

Il percorso espositivo, frutto del lavoro del comitato scientifico coordinato da Adriano Màdaro e composto da Marilia Albanese, indologa d’ampia formazione e da Renzo Freschi, esperto d’arte indiana, insieme agli architetti Marco Sala e Giovanna Colombo, intende ricostruire le tappe salienti della civiltà indiana attraverso due filoni principali che hanno come centro focale rispettivamente il Tempio e la Corte: “L’arte nell’India Classica” e “L’india dei Maharaja”. Due poli, quello del Tempio e quello della Corte, che sfuggono al dualismo tipicamente occidentale tra sacro e profano e che nella cultura indiana non sono in nessun modo in contraddizione. Il cerimoniale dei templi è simile a quello del palazzo e la figura del re è ammantata di sacralità tanto da renderla divina. La saggezza tradizionale indiana, affinché l’esistenza umana sia significativa e armonica, impone l’impegno etico, ma anche il perseguimento del piacere; sostiene la frugalità, ma non svalorizza la ricchezza; incita al distacco, ma legittima la conquista del potere. Benché il fine ultimo in buona parte della cultura indiana – ma non in tutta – sia la liberazione e il trascendimento del mondo doloroso e finito, la vita e i suoi istanti preziosi sono ampiamente celebrati, soprattutto nell’arte.  La prima parte della mostra, “L’arte nell’India Classica”, illustra alcuni temi fondamentali della cultura indiana e include sculture e altorilievi in pietra, immagini in bronzo e oggetti rituali provenienti dall’ambito religioso, corredati da miniature di soggetto affine, coprendo un arco di tempo che va dal II millennio a.C fino al XVII sec.
Punto di partenza sono le sette religioni indiane: Hinduismo, Buddhismo, Jainismo e Sikhismo (autoctone); la religione dei Parsi, Cristianesimo e Islam (importate). Due sale sono dedicate ai miti e le grandi epopee indiane. Il “Ramayana” del poeta Valmiki e il “Mahabharata”, opere composte in un lungo arco di tempo fra il IV sec. a.C. e il IV sec. d.C., in particolare, hanno contribuito in maniera preponderante a divulgare idee religiose, morali e sociali, fonte di ispirazione per l’iconografia indiana.

La mostra prosegue con una sala dedicata ai rapporti tra l’India e la Grecia, che hanno prodotto la singolare arte del Gandhara, una corrente artistica, sviluppatasi in seguito alla formazione di regni indo-greci dopo la conquista da parte di Alessandro Magno, caratterizzata dalla rappresentazione di temi religiosi di derivazione buddista con vesti tipiche della cultura greca o affiancati a temi mitologici greci.

La straordinaria ricchezza del pantheon hindu si dipana nelle cinque sale in onore degli dei dell’India: Shiva, divinità complessa e ambigua, già noto nel secondo millennio a.C. come Rudra, “Colui che urla”, signore della tempesta armato di tuono e saetta, portatore di malattie ma al tempo stesso protettore e guaritore. La Grande Dea, la Devi, archetipo del femminile, Signora della Vita e della Morte. Proiezione del dinamismo cosmico e dell’energia di trasformazione che incessantemente origina e dissolve l’universo, la Grande Dea è al tempo stesso divinità terribile e madre amorevole e adombra le contraddizioni dell’esistenza che eternamente riproduce se stessa. Infine Vishnu, divinità di riferimento nei grandi poemi epici e principale figura di devozione nell’Hinduismo, custode della vita che si manifesta sulla terra in svariate discese provvidenziali chiamate “avatara”. Le due più importanti sono Rama e Krishna. Le ultime tre sale del percorso dedicato all’India Classica si soffermano sulla rappresentazione del corpo umano, maschile e femminile, e sull’arte erotica. Nella cultura indiana la sessualità è il piacere maggiore e ad essa è dedicato un trattato specifico che affronta l’argomento in tutte le sue sfaccettature: il “Kamasutra”, redatto da Vatsyayana nel III sec. d.C. Ispirate ad esso, le miniature che rappresentano gli amanti in diverse modalità di amplesso non sono solo per il piacere di nobili e sovrani, ma mezzo per istruire nell’arte amatoria, favorendo così la buona riuscita del rapporto di coppia.

La seconda parte della mostra è dedicata al favoloso mondo dei Maharaja. Nelle sette sale dedicate a questi sovrani ricchissimi ed eccentrici, sono esposti preziosi reperti che raccontano la vita e le dimore nelle quali vivevano, arredate con stuoie, tende e tramezzi in stoffa che separavano e completavano gli ambienti, i cui pavimenti erano coperti da splendidi tappeti; Le coloratissime miniature e i dipinti conservati nelle reali pinacoteche, nei quali i testi sacri si alternano a quelli profani; le armi, tra i quali i pugnali a lama triangolare affilata su entrambi i lati, le cotte di maglia e le armature imbottite; i gioielli, creazioni artistiche e veri e propri talismani (tra questi, vi sono esposti pregiati pezzi della dinastia moghul, casata musulmana regnante in India tra il XVI e il XIX secolo), le sete dai mille colori cangianti, le statue delle divinità più sinuose e gli arazzi più pregiati. Un’ampia sezione che raccoglie una serie di fotografie di fine Ottocento/inizi Novecento, offre suggestive testimonianze di un epoca che tanto affascinò l’Occidente.

L’ultima tappa della mostra è davanti alle testimonianze dei rapporti fra Italia e India, le cui origini risalgono addirittura all’epoca romana, per scoprire quanti italiani – alcuni famosissimi come Marco Polo e Nicolò Manucci – intrapresero la “via delle Indie”.

Ed è proprio un viaggio entusiasmante quello che la mostra si propone di offrire ai visitatori, presentando gli aspetti salienti e affascinanti di un Paese dalla cultura plurimillenaria, oggi alla ribalta del mondo.

Rama, Sita e Lakshmana in esilio, 1810/1815, miniatura, stile kangra, Rajasthan, India settentrionale

dall’Introduzione di Marilia Albanese:

ARTE INDIANA TRA SACRO E PROFANO

In Italia l’interesse per l’India dalla seconda metà del Novecento a oggi è andato progressivamente crescendo ed è uscito dal mondo accademico e degli specialisti per diffondersi in maniera sempre più allargata. Accanto ad un’informazione condizionata dalle mode del momento e dagli stereotipi, si sono moltiplicati gli sforzi per fare conoscere in maniera più corretta e profonda la splendida e variegata civiltà indiana e, in primo luogo, la sua arte.

Non sono dunque mancate dal dopo-guerra a oggi mostre di grande spessore e fascino su diversi aspetti della cultura dell’India, ma non era ancora stata allestita un’esibizione che spaziasse dalle origini ai giorni nostri, raccogliendo reperti di diversa provenienza e “osando” accostare sacro e profano. Queste due aree, tuttavia, nel sub-continente indiano trascolorano l’una nell’altra, poiché la loro opposizione è più apparente che reale, visto il costante anelito della plurimillenaria cultura dell’India a riconciliare, unificare e trascendere le polarità dell’essere.

La saggezza tradizionale, affinché l’esistenza umana sia significativa e armonica, impone l’impegno etico, ma anche il perseguimento del piacere; sostiene la frugalità, ma non svalorizza la ricchezza; incita al distacco, ma legittima la conquista del potere. I bisogni e gli allettamenti materiali sono presi in considerazione quanto i desideri e le aspirazioni spirituali. Benché il fine ultimo in buona parte della cultura indiana – ma non in tutta! – sia la liberazione e il trascendimento del mondo doloroso e finito, la vita e i suoi istanti preziosi sono ampiamente celebrati, soprattutto nell’arte.

Un’arte che al primo sguardo appare sensualmente carnale, nelle figure femminili dalle forme opulente e rotonde come un frutto maturo, ma anche nelle rappresentazioni di asceti, i cui corpi plastici non sono per nulla svuotati dai digiuni e dalle ardue prove. Eppure, le immagini fattesi “carne” nella pietra o nel metallo, quando sono opera di un grande artista sembrano sempre in procinto di smaterializzarsi, come se la loro presenza che tanto spazio condensa fosse solo la visione di un attimo evocata dalla fede, un’apparizione momentanea colta dalla maestria artistica sull’orlo del dissolversi nuovamente. Per questo, salvo pochissime eccezioni, tutte le statue sono di divinità.

Il tempio è il luogo delle sacre rappresentazioni: il rito scandisce un tempo fuori dal tempo e il mito disegna uno spazio oltre lo spazio. Il velo illusorio di maya, il misterioso potere che occulta la Realtà ultima, si alza come un sipario e gli dei prendono corpo, non un corpo individuale e individuato, ma un corpo ideale, la perfezione della forma nell’attimo dell’apparizione. I Signori del cielo non hanno volti distinti, bensì simboli che li connotano: il Divino, uno, unico e ineffabile, si proietta in infinite forme, traboccando nella lila, il gioco misterioso che mette in scena e anima l’esistenza.

Se il tempio è il primo grande palcoscenico della cultura dell’India, la corte è l’altro e il protagonista è in questo caso il sovrano. I due poli – sacro e profano – solo apparentemente sono in opposizione. Il cerimoniale dei templi è simile a quello del palazzo, la figura del re è ammantata di sacralità tanto da renderla divina. Ricca, opulenta e fastosa, a un primo sguardo la corte appare la rappresentazione più terrena e materica della vita. Eppure, a ben guardare, anche in essa vi è la tensione all’immateriale: vesti pesanti intessute d’oro e d’argento, ricoperte di gemme accanto a mussole così leggere da essere impalpabili; armi micidiali trasformate da una delicatissima trama di ricami in agemina, miniature di regali personaggi colti nel massimo della pompa, eppure con sguardi pensosi, persi nell’oltre.

Un continuo rimando tra forma ed essenza, apparire ed essere, materia e spirito che trova la sua massima espressione nell’arte, la via estetica, che offre la degustazione di piaceri sempre più sottili. Per distillarli l’artista trascende il proprio sentire individuale per farsi veicolo di sentimenti universali: allora la rappresentazione e la fruizione della Bellezza divengono cammino salvifico che porta al di là della materia e del mondo, poiché appieno e fino in fondo se ne è delibato il gusto. Se più nulla resta da esperire, il gioco di maya finisce.

Marilia Albanese

MAGIE DELL’INDIA, Treviso, Casa dei Carraresi, dal 26 ottobre 2013 al 31 maggio 2014.

Mostra promossa da FONDAZIONE CASSAMARCA e organizzata da SIGILLUM

Curatori: MARILIA ALBANESE, RENZO FRESCHI E ADRIANO MÀDARO.

Main Sponsor: UNICREDIT; Assicurazioni: CIACCIO BROKER. Prenotazioni Turistiche: CONSORZIO DI PROMOZIONE TURISTICA MARCA TREVISO, Collaborazioni: GRUPPO SOTREVA, ASSOCIAZIONE MARCA TREVIGIANA, STUDIO LEONARDO.
Con il Patrocinio del Comune di Treviso.

Orario:
dal Lunedì al Venerdì 9.00-19.00- Sabato e Domenica 9.00-20.00
Chiusure: 25 e 31 Dicembre
Apertura straordinaria: 1 gennaio 2014 14.00-20.00

Al piano terra sarà allestita per tutto il periodo anche la Mostra Internazionale dell’illustrazione per l’infanzia “FIABE DALL’INDIA

Per informazioni e prenotazioni: tel. 0422.513150

Sito internet della mostra: www.laviadellaseta.info