di Alessandra Cristina Lavagnino
Una probabile origine delle rappresentazioni teatrali in Cina può essere rintracciata, fin da tempi remoti, nelle manifestazioni degli sciamani (方士 fāngshì), che compivano danze durante le cerimonie religiose, e in quelle dei giullari di corte (唱优 chàngyōu quelli che cantano, 排忧 páiyōu quelli che fanno “burle sagge”, 百戏 bǎixì “cento giochi”): per questo, forse, in epoca Song (960-1279) gli attori del teatro tradizionale si chiamavano 优人 yōurén. [1]
Il teatro in Cina nasce relativamente tardi (i primi testi non sembrano essere anteriori all’XI secolo), si sviluppa grandemente a partire dai Song, ma è soltanto a partire dall’epoca Yuan che vengono tramandati testi completi, ad opera di autori riconosciuti come tali. Il motivo di ciò viene ricondotto, secondo alcuni studiosi [2], a una serie di fattori: innanzitutto, la dominazione di una dinastia “straniera”, con lo sviluppo delle città e del commercio, favorì l’introduzione in Cina di forme di spettacolo tipiche di etnie diverse da quella Han; in secondo luogo, i conquistatori mongoli furono fautori di una politica di discriminazione delle classi sociali a causa della quale i funzionari letterati vennero relegati in una posizione infima; per un certo periodo venne persino interrotta la tradizione degli esami imperiali! Molti Eruditi si avvicinarono quindi al vivacissimo e ricco mondo del palcoscenico, dedicandosi alla scrittura di testi in collaborazione con attori e giocolieri, e spingendosi a volte persino a rappresentare di persona le proprie creazioni. Verso la metà del XIII secolo compaiono le prime opere, e sono legate al nome di Guan Hanqing (1220-1300 circa), un autore a cui la tradizione attribuisce ben 63 commedie, in gran parte oggi perdute. Ne rimangono infatti solo 17. I più antichi testi disponibili sono edizioni a stampa di epoca Ming (fine del XVI secolo), e si basano sui canovacci usati a corte, quindi, probabilmente, abbondantemente censurati.
杂剧 Zájù è il termine generico utilizzato dai primi testi e comprende qualunque forma di rappresentazione teatrale (musicale, acrobatica, di marionette, canto, recitata, con maschera). Costruzioni appositamente realizzate per le rappresentazioni nelle città 瓦舍 wǎshè (“costruzioni in tegole”), arrivano ad accogliere fino a mille spettatori.
Non si sviluppa la distinzione (occidentale) fra i generi: tragedia e commedia coesistono, insieme alla molteplicità delle forme (una medesima pièce prevede brani musicali, acrobatici, momenti parlati, cantati, mimati…). Interessante identificare la terminologia che ripartisce le diverse forme:
歌舞剧 Gēwǔjù (“opere cantate e danzate”): balletto narrativo.
参军戏 Cānjūnxì (“commedie del consigliere”): diaologo comico, satira politica, probabile origine della forma ancora oggi popolarissima del 相声 xiàngsheng (un breve dialogo ritmato, di argomento comico, satirico, basato spesso su omofonie e giochi di parole)
散曲 Sǎnqǔ (“canzoni indipendenti”): genere che vede l’apogeo in epoca Yuan.
Grande diviene ben presto lo sviluppo dei teatri locali lungo il bacino del fiume Azzurro: 南戏 nánxì, soprattutto del genere 昆曲 kūnqǔ, che nasce nella regione intorno a Suzhou, che si caratterizza mediante toni più dolci e raffinati, ed è molto apprezzato dalle classi colte. Giunge all’apice della popolarità nel XVII secolo, conquistando anche la capitale Pechino, poi declina rapidamente, e viene gradualmente riassorbito nei successivi sviluppi di genere.
Possiamo dire che lo sviluppo successivo del teatro cinese eredita dal zájù la molteplicità delle forme (acrobazia, canto, danza, recitazione) mentre dal nánxì la standardizzazione dei ruoli.
I temi principali. Sono le Virtù tradizionali della Pietà filiale, della Lealtà al sovrano e del trionfo della Giustizia a costituire il fondamento etico ed ideologico del teatro cinese, che si articola in base ai quattro grandi temi, spesso interconnessi, di amore, giustizia, storia, religione. Zhu Quan (1378-1448), un drammaturgo di corte dell’inizio dei Ming, suddivide il teatro Yuan in ben 12 generi, una sorta di repertorio morale e sociale che vale la pena di elencare: “Immortali e taoisti, Eremiti e reclusi, Monarchi e ministri, Vassalli leali ed eroi, Pietà filiale e integrità, Tradimento e calunnia, Ministri in disgrazia e orfani, Sciabole e mazze, Intrighi sentimentali, Separazione e ritrovamento, Cortigiane e profumi, Divinità e spettri”. [3] Citiamo allora almeno le opere più importanti:
西厢记 Xīxiāngjì (Storia del padiglione occidentale), composta da Wang Shifu nel tardo XIII sec., è la più famosa e più letta tra le commedie cinesi tradizionali, costituita da cinque commedie di quattro atti ciascuna. La più antica edizione conservata è datata 1498, e numerosissime sono le riedizioni con successive e notevoli varianti. Complesso l’intreccio, ambientato in epoca Tang.
牡丹亭 Mǔdan tíng (Padiglione delle peonie), di Tang Xianzu (1550-1616), teatro meridionale, 55 scene, che raccontano una lunga, complicata storia di corte; è apprezzata soprattutto l’intensità lirica delle canzoni.
Tra il 1770 e il 1870 si forma il 京戏 jīngxì (“teatro della capitale”), un nuovo stile teatrale che mette insieme diverse componenti locali precedenti, conosciuto anche con il termine 京剧 jīngjù (“opera di Pechino”); i testi sono rielaborazioni di opere precedenti, spesso collage di più storie. Enfasi non è soltanto sul canto 唱 chàng e la declamazione 念 niàn, ma anche sull’azione e le acrobazie 做 zuò, e il trucco elaborato 打 dǎ.
Importante appare in tale contesto il ruolo dell’attore (una figura socialmente poco stimata, anche se spesso con grandi riconoscimenti economici), che personalizza l’interpretazione con complessi pezzi di bravura (per la difficile e lunga preparazione dell’attore cfr. il film di Chen Kaige Addio mia concubina). Assoluto è il dominio dei ruoli fissi che si alternano sulla scena, come 生 shēng, il principale ruolo maschile, 旦 dàn ruolo femminile, jin figura soprannaturale dal viso dipinto, mo uomo di mezz’età, 丑 chǒu clown.
“L’attore cinese mette in scena un comportamento simbolico attraverso un linguaggio formale standardizzato. La vita quotidiana non viene imitata ma presentata al pubblico in forma convenzionalmente codificata”. [4] Pressoché inesistente è la scenografia, solo qualche raro arredo di elevato valore simbolico, mentre smaglianti e ricchissimi sono i costumi, caricato il trucco ed elaborate le acconciature: colori e decorazioni sono strettamente legati a una complessa simbologia, incomprensibile per i non esperti. La gestualità viene regolata da strette convenzioni sceniche.
La compagine orchestrale, limitata, è presente lateralmente sulla scena.
Ricordiamo che il primo testo teatrale cinese ad arrivare in Occidente fu 赵氏孤儿 Zhàoshì gū’ér (L’orfano della famiglia Zhao), opera attribuita a tale Ji Junxiang, che descrive le drammatiche vicende di stragi e di vendette della stirpe dei Zhao, e che nel 1735 venne tradotta in francese e rappresentata al teatro reale di Parigi nel 1755. Oltre alla versione in francese ne furono redatte altre in inglese, tedesco e russo. Pietro Metastasio, nel 1748, ne curò l’adattamento in italiano, dal titolo L’eroe cinese. Un altro testo cinese che ebbe straordinaria fortuna in Occidente fu 灰阑记 Huīlán jì (La storia del cerchio di gesso), di Li Qianfu, che racconta della saggezza del Giudice Bao Zheng, (personaggio citato nella Lezione precedente) e che, grazie alle traduzioni settecentesche in francese, tedesco e inglese, divenne materia per Il cerchio di gesso del Caucaso, di Bertolt Brecht (1898-1956).[5]
Dal 1777 sono solo uomini a calcare le scene. La storia recente ne ricorda come il più grande Mei Lanfang, che riforma il genere e lo fa conoscere anche in occidente, ai primi del ‘900. Le donne tornano a calcare le scene solo nel ‘900.
Soltanto con l’influenza dell’Occidente, alla fine dell’800, si sviluppa il “teatro parlato”: 话剧 huàjù è il nuovo termine che viene coniato per indicare le nuove opere messe in scena nelle grandi città, che traggono ispirazione dai capolavori della tradizione europea, e che arrivano nelle prime traduzioni, spesso dal giapponese: nel 1905 un gruppo di studenti cinesi mette in scena, a Tokyo, la versione in cinese de La dame aux camélias di Dumas. Per la generazione dei nuovi intellettuali cinesi che intorno al Movimento del 4 Maggio sviluppano le tematiche delle riforme anche in campo culturale assume una grande importanza il teatro del drammaturgo norvegese Henrik Ibsen: l’influenza di Nora, eroina di Casa di bambola (1879) appare netta nella prima opera cinese di “teatro parlato”, che si intitola 中生大师 Zhōngshēng dàshì (Un grande evento della vita), opera in un atto che descrive la vita matrimoniale, che Hu Shi (1891-1962) pubblica nel marzo 1919 a Shanghai.
Duplice lo sviluppo teatrale lungo il corso del ‘900: da un lato lo huàjù e le forme e tematiche dell’Occidente, dall’altro la rielaborazione del teatro tradizionale da parte di quegli intellettuali che non volevano vedere perduta la tradizione autoctona: si veda l’esempio di Tian Han (poi perseguitato durante la Rivoluzione culturale) e della sua riscrittura del popolarissimo 白蛇记 Bái shé jì (Il serpente bianco).
Nella nuova Cina, dopo il ’49, è il teatro di impegno civile (文明戏 wénmíng xì), che tratta temi popolari, come nella famosissima 茶馆 Cháguǎn (La casa del tè) di Lao She (anch’egli verrà poi perseguitato durante la Rivoluzione culturale, e muore suicida nel ’68) a venire rappresentato. Sarà tra l’altro un testo di teatro 海瑞罢官 Hai Rui ba guan (Hai Rui rimosso dalla sua carica) scritto nel 1961 da Wu Han, a scatenare la violenta polemica che darà inizio alla rivoluzione culturale, un difficile e complesso periodo, durato, secondo la storiografia ufficiale cinese, dal 1966 fino alla morte di Mao Zedong nel 1976. Un periodo nel quale trionfano esclusivamente i personaggi rivoluzionari, costruiti secondo lo stereotipo proposto dalla moglie di Mao, Jiang Qing, e proposti nelle “opere rivoluzionarie modello” (革命样板戏 gémìng yàngbǎn xì).
A partire dagli anni ’80 anche il teatro riprende vita, sia recuperando le vecchie opere tradizionali, proibite perché considerate “feudali” durante la Rivoluzione Culturale, e ora viste come importante aspetto della propria “cultura nazionale” (grande sviluppo dei diversi “teatri locali” in dialetto, ripresa delle scuole di teatro, sostegno alle troupes), spesso “modernizzate” grazie all’apporto delle nuove tecnologie, sia con nuove produzioni di “teatro parlato”: importante 车站 Chēzhàn (Fermata d’autobus) di Gao Xingjian che nei primi anni ’80 rompe con le convenzioni del “teatro civile” di stampo socialista per proporre una visione non ottimistica, surreale, della società.
Si sviluppa, tra mille difficoltà organizzative, anche un teatro sperimentale, che soprattutto nelle grandi città tenta, malgrado i veti spesso pesanti della censura politica e del conformismo della burocrazia, di far conoscere il teatro occidentale (Ionesco, Becket, Pirandello) e di proporre nuovi testi.
tratto da: La potenza del Wen. Introduzione alla cultura cinese, CUEM, Milano 2006, pp. 89-92 “Lezione X. La scrittura del teatro (戏剧 xìjù)”
NOTE
[1] Cfr. Yu Wenjie, Tradizione e realtà del teatro cinese, ICE, Milano, 1995.
[2] Ibid., p. 24 e sgg.
[3]Cfr. Darrobers R., Le Théatre Chinois, P.U.F., Parigi, 1995, p. 22.
[4] Cfr. Idema W., Haft L., Letteratura cinese, op. cit., p. 195.
[5] Il testo venne pubblicato nel 1949. Sulla complessa e vivacissima interrelazione tra teatro cinese e teatro brechtiano si veda di Rossella Ferrari, Da Madre Courage e i suoi figli a Jiang Qing e i suoi mariti. Percorsi brechtiani in Cina, Cafoscarina, Venezia, 2005.
Bibliografia essenziale:
Darrobers R., Le théatre Chinois, PUF, Parigi, 1995
Dutrait N., Leggere la Cina, piccolo vademecun di letteratura cinese contemporanea Pisani, Isola Liri, 2005
Gao Xingjian, Fermata d’autobus, in In forma di parole, 2, Liviana, Padova, pp. 241-327.
Hsu Tao-ching, The Chinese conception of theatre, Washington U.P., 1985
Idema W. Haft L., Letteratura cinese, Cafoscarina, Venezia, 2000
Masi E., Cento trame della letteratura cinese, Milano, 1991
Pilone R., Oltre la maschera, storie di ragazzi d’opera cinese, ICE, Milano, 1995
Ruggiero A., L’opera di Pechino durante la Rivoluzione Culturale, Presenze editrice, Cosenza, 1985
Sanguinetti T. e Balestrini N. (a cura di), L’Opera di Pechino, Feltrinelli Milano 1971 (tradotti dal francese o dall’inglese i testi delle “opere modello”: “La conquista della montagna della tigre”, “Il fanale rosso”, “Shajiabang”, “Incursione contro il reggimento della tigre bianca”, “Il porto”, e i saggi: “A proposito del sistema Stanislavski”, e, di Jiang Qing, “Sulla rivoluzione nell’Opera di Pechino”)
Tang Xianzu, Le pavillon aux pivoines (Mudan ting), Mf Editions, Parigi, 1999
YuWenje, Tradizione e realtà del teatro cinese, ICE, Milano, 1995
Zhang Yinde, Histoire de la littérature chinoise, Ellipses, Parigi, 2004