di Ileana Di Nallo
Tra la fine degli anni Venti e l’inizio degli anni Trenta, il teatro parlato cinese giunse alla sua piena maturazione: si scrivevano drammi che nella forma e nello stile seguivano la drammaturgia occidentale, ma i soggetti e i temi erano attuali e vicini alla società cinese, i più comuni erano l’antico sistema familiare che poneva un freno allo sviluppo moderno, l’emancipazione della donna, lo sfruttamento dei contadini e il patriottismo.
Il più grande drammaturgo degli anni Trenta fu senza dubbio Cao Yu. I suoi drammi riflettevano i problemi sociali del tempo e la familiarità con tutto il teatro occidentale e soprattutto l’influenza del teatro di Ibsen lo condussero ad una drammaturgia realistica e d’attualità che prendeva in considerazione le nuove e già guaste classi sociali che emergevano in Cina, in cui l’individuo è solo vittima di una società che deve trovare ancora la forza di rigenerarsi. Il primo dramma scritto da Cao Yu fu il famoso Leiyu (雷雨, Temporale), pubblicato nel 1934 sulla rivista trimestrale Wenxue jikan (文学季刊, Trimestrale Letteratura) e rappresentato la prima volta nel 1935 da una compagnia teatrale amatoriale dell’Università Fudan di Shanghai, con la direzione di Ouyang Yuqian e Hong Shen [1 ]. Temporale è un dramma complesso e molto ben costruito che fu salutato come un avvenimento nel mondo del teatro [2], rappresenta, infatti, il culmine artistico di quella Cina “semi-occidentalizzata” che allo stesso tempo combatte contro l’aggressività occidentale e il passato del proprio paese [3].
In questo dramma, nel corso di un giorno e una notte, in un’atmosfera molto drammatica sottolineata dallo scoppio di un temporale (che si scatena nell’epilogo e dal quale l’opera prende il titolo), si rivela la terribile immagine di una famiglia corrotta, attraverso una serie intricata di eventi. La scena si svolge nella casa della famiglia Zhou. Il signor Zhou, il capo famiglia, ricco proprietario di miniere, ha due figli. Il più grande, Ping, cerca di porre fine alla sua storia clandestina con la matrigna, visto che si è nel frattempo innamorato di una giovane domestica, Quarta Fenice, ignorando, però, che lei è in realtà sua sorella e che la loro comune madre è stata ripudiata e abbandonata da suo padre. La sua matrigna Fanyi è tormentata per essere stata sedotta, disonorata e abbandonata dal figliastro per una domestica. Il finale è tragico; muoiono la ragazza e un fratello minore, il giovane Ping si suicida e la matrigna diventa pazza. La trama di Leiyu è tessuta da fili che toccano i problemi sociali dell’epoca: un giovane minatore, che è figlio naturale del signor Zhou, ma ignora che egli sia suo padre, organizza uno sciopero nelle miniere e quando in un drammatico confronto apprende la verità sulla sua nascita, si rifiuta fermamente di riconoscere il genitore accusandolo di sfruttare gli operai e i poveri. Leiyu incarna due temi che ricorrono anche nelle opere successive di Cao Yu: il potere conferito dal denaro che può rendere l’uomo disumano, tema che si ritrova anche nella sua seconda opera, Richu (日出, Alba, 1936), e gli effetti soffocanti della moralità tradizionale.
Altre opere di Cao Yu degne di nota sono Yuan Ye (原野, Aperta campagna) del 1937, in cui il protagonista è un uomo deforme fisicamente e moralmente che torna al luogo natio per vendicarsi del capo villaggio e che alla fine si suicida, Beijing ren (北京人, Gente di Pechino) che mostra come la vita del protagonista sia stata rovinata da un matrimonio combinato. Tutte le opere di Cao Yu hanno come sfondo la ribellione dell’individuo verso l’antica società che spesso lo trascina verso la morte oppure la fine del vecchio ordine sociale e la speranza nel futuro grazie alle nuove generazioni.
Tuttavia gli avvenimenti storici che si succedettero negli anni Trenta e negli anni Quaranta influenzarono fortemente lo sviluppo del teatro moderno verso un’altra direzione, ossia una certa estremizzazione di alcuni suoi aspetti. Il teatro venne sempre più identificato con un’arma politica da utilizzare per comunicare con le masse, non più soltanto per divulgare le idee di progresso e riforma, ma per una vera e propria propaganda politica, propaganda patriottica contro il Giappone nel momento della guerra, propaganda comunista e anti-nazionalista nel momento del conflitto civile tra Partito Comunista e Partito Nazionalista.
Con la morte di Yuan Shikai (袁世凯, 1859-1916), secondo presidente della Repubblica cinese dopo Sun Yatsen (in cinese Sun Zhongshan, 孫中山, 1866-1925), la Cina era entrata nel periodo dei signori della guerra, durante il quale governatori e comandanti provinciali agivano per proprio conto e si facevano guerra l’un l’altro. Nei primi anni Venti, il movimento nazionalista, organizzatosi come partito del Guomindang con una base territoriale a Canton, scelse di collaborare con l’appena fondato Partito Comunista per fronteggiare la minaccia dei signori della guerra. Nel 1925 le truppe del Guomindang, guidate da Chiang Kaishek (in cinese Jiang Jieshi, 蔣介石, 1887-1975), partirono per la spedizione settentrionale che aveva come scopo la riunificazione della Cina, tuttavia, dopo aver raggiunto Shanghai nella primavera del 1927, Chiang all’improvviso si rivoltò contro i comunisti e i loro simpatizzanti, cosicché questi ultimi si trovarono costretti a darsi alla macchia o a ritirarsi in zone periferiche.
Nel 1928, la spedizione nel nord di Chiang Kaishek portò a una riunificazione nominale della Cina sotto il governo del Guomindang con il trasferimento della capitale a Nanchino. Il decennio di Nanchino (1927-1937) fu testimone di un notevole sviluppo economico e di un considerevole progresso nella modernizzazione del paese. Sul piano militare, ripetute campagne tentarono di sradicare il Soviet stabilito nel Jiangxi da Mao Zedong (毛泽东, 1893-1976) e Zhu De (朱德, 1886-1976), che, con l’assedio del Guomindang del 1934, infine furono costretti a fuggire verso il nord, stabilendo la propria base nello Shaanxi settentrionale.
In questo periodo, Shanghai divenne il centro più importante delle attività teatrali, anche grazie all’influenza e ad una certa protezione delle potenze straniere; numerosi erano gli spettacoli portati in giro dalle compagnie di huaju, non solo in questa zona ma anche in altre città come Pechino e Nanchino. Gli spettacoli si tenevano in piccoli villaggi, in grandi città, nelle fabbriche e nelle piazze, e le campagne di promozione fecero aumentare l’interesse per questa nuova forma artistica anche all’interno delle università che iniziarono a creare le loro associazioni teatrali huaju. Queste nuove associazioni, tra cui una delle più note fu la Società d’Arte Teatrale di Shanghai (Shanghai yishu ju she, 上海艺术剧社) fondata da Zheng Boqi (郑伯奇, 1895-1979) nel 1929, misero in scena numerose rappresentazioni di successo, anche se la maggior parte di esse era ancora costituita da adattamenti di drammi europei ed americani. Il governo nazionalista, che stava tentando la riunificazione del paese, vedendo le rappresentazioni teatrali huaju come uno strumento che incitava il sentimento di ribellione, iniziò un’ampia attività di soppressione delle associazioni di teatro huaju e molti attori e drammaturghi più radicali e simpatizzanti con le idee portate avanti dal Partito Comunista, come il famoso Tian Han, furono arrestati [4]. Questa forte repressione, sommata alla flagrante corruzione tra le file del Guomindang e la sua incapacità di apportare dei cambiamenti, non fece altro che portare molti intellettuali a spostare la loro fede politica dalla parte dei comunisti. Il Partito Comunista, fondato nel 1921, resosi conto del potere del teatro pensò bene, al contrario di quanto fece il Guomindang, di servirsene per portare avanti la sua causa tra il popolo promuovendo la formazione di compagnie e di attori che potessero diffonderlo e stabilire così una rete su tutto il territorio nazionale. Già a partire dal periodo del fronte unito tra il partito Comunista e il Guomindang, tra il 1924 e il 1927, i comunisti organizzarono delle compagnie teatrali che mettevano in scena opere con tematiche rivoluzionarie. Ad esempio, durante le celebrazioni del Primo Maggio del 1926, una quarantina tra membri del PCC e giovani rivoluzionari misero in scena l’opera Sangue del sette febbraio (Er qi xie, 二七血), basata sul massacro del sette febbraio del 1923 compiuto dalle truppe del signore della guerra Wu Peifu quando mise a tacere lo sciopero sulla ferrovia Pechino-Hankou [5].
Nel 1930 varie associazioni teatrali di sinistra si unirono e fondarono l’Unione delle compagnie teatrali di Shanghai (Shanghai xiju yundong lianhe hui, 上海戏剧运动联合会), che venne riorganizzata e rinominata Lega cinese dei drammaturghi di sinistra (Zhongguo zuoyi xijujia lianmeng, 中国左翼戏剧家联盟) nel 1931, equivalente teatrale della famosa Lega degli scrittori di sinistra (Zhongguo zuoyi zuojia lianmeng, 中国左翼作家联盟), di cui faceva parte anche Lu Xun, fondata l’anno precedente. In linea con le idee portate avanti dal PCC, l’obiettivo primario della Lega dei drammaturghi di sinistra era portare il teatro tra le masse proletarie, tra gli studenti rivoluzionari e i cittadini dei piccoli centri per contrastare il potere del Partito nazionalista. I primi due punti del programma della Lega sono sufficienti a mostrare il fervore politico che motivava l’attività teatrale dei suoi membri e quanto la percezione del teatro come strumento di lotta politica fosse sempre più forte:
1 – Dobbiamo penetrare a fondo tra le masse proletarie delle città. Dobbiamo guidare il movimento del teatro proletario attraverso tre vie: rappresentazioni indipendenti della nostra Lega; supportare le rappresentazioni dei compagni lavoratori; unire le rappresentazioni della nostra Lega con quelle dei lavoratori. I modelli da adottare nelle rappresentazioni devono essere tali da poter essere completamente compresi dalle masse dei lavoratori […].
2 – Per conquistare le masse di studenti rivoluzionari piccolo-borghesi e la popolazione dei piccoli centri cittadini, la nostra Lega deve usare la formula dei tre tipi precedentemente menzionati, ovvero, indipendenza, supporto, unione […] È necessario, inoltre, impiegare ogni mezzo possibile per assicurare libertà alle rappresentazioni pubbliche nelle aree del terrore bianco [zone controllate dal Partito Nazionalista] [6].
Una delle più importanti novità apportate dai membri della Lega fu porre l’accento sulla promozione teatrale nelle campagne. Il teatro del Movimento del Quattro Maggio e dei grandi drammaturghi degli anni Venti, infatti, era stato un movimento artistico che si era sviluppato soprattutto nelle città, che seppur professando l’importanza del popolo nel processo di riforma, non aveva tenuto conto di quella parte contadina che costituiva in realtà la stragrande maggioranza della popolazione. I membri del Partito comunista furono i soli a preoccuparsi di estendere la loro influenza attraverso il teatro a partire dalle campagne.
Con l’incidente del ponte Lugou (anche detto ponte Marco Polo) appena fuori Pechino, il 7 luglio del 1937, che segnò l’occupazione della città e l’inizio dell’invasione della Cina intera da parte delle truppe giapponesi, la situazione cambiò rapidamente. Con lo scoppio della guerra con il Giappone (1937-1945), i cinesi iniziarono la loro resistenza all’invasione che durò fino al 1945. In questo periodo il forte sentimento patriottico spinse attori e compagnie di teatro parlato ad organizzarsi per contribuire all’attività di resistenza al nemico e gli spettacoli iniziarono ad essere usati quasi esclusivamente come propaganda nell’esercito e nei piccoli villaggi di campagna, dando inizio ad un movimento teatrale che aderiva completamente alla guerra di resistenza contro il Giappone. Migliaia erano le compagnie attive durante la guerra, alcune locali, alcune itineranti, molte dirette da professionisti e molte amatoriali, che portavano gli spettacoli ovunque: tra i soldati, tra gli operai, nelle piazze, nelle strade, nei templi, nei piccoli villaggi e nelle grandi città.
Nonostante la qualità dei lavori teatrali delle compagnie che operavano nelle campagne tra la gente non istruita al solo scopo propagandistico fosse inferiore rispetto a quella delle opere huaju dei drammaturghi che operavano nelle città, la guerra segnò un passo vitale per la sinizzazione di una drammaturgia che sembrava ancora ancorata a ripercorrere i modelli occidentali [7]. Con l’inclusione di elementi di alcune forme di intrattenimento tradizionale, più familiari alla gente comune, all’interno della struttura del teatro moderno ci fu una vera e propria “assimilazione cinese” del teatro huaju [8]. La guerra contro il Giappone è vista come un punto di svolta nella storia del teatro cinese poiché, come scrisse Tian Han, “fu in questo periodo che il teatro raggiunse naturalmente la ‘massivizzazione’, ovvero arrivò realmente tra le masse” [9 ]. Il forte desiderio di difendere il proprio paese contro il Giappone portò attori e drammaturghi ad unire le proprie forze con un impegno mai visto prima: l’Associazione di Shanghai organizzò delle compagnie teatrali itineranti, in cui non solo attori, ma anche intellettuali e famosi scrittori portavano gli spettacoli nei piccoli villaggi, allestendo palchi nei templi, nei corridoi delle scuole, all’interno di aule o nei campi sportivi e nelle strade.
Nel dicembre del 1937, Nanchino cadde in mano ai giapponesi e molti gruppi teatrali, attori dell’Opera tradizionale come il famoso Mei Lanfang, drammaturghi come Ouyang Yuqian, Tian Han, Hong Shen, Xiong Foxi, Guo Moruo, Chen Baichen (陈白尘, 1908-1994, diventato famoso soprattutto per le sue satire politiche), Cao Yu, Lao She (老舍, 1899-1966), si unirono e fondarono l’Associazione Nazionale di teatro cinese per resistere al nemico (Zhonghua quanguo xiju jie kang di xiehui, 中华全国戏剧界抗敌协会). Il repertorio dell’Associazione spaziava dal teatro moderno, al teatro tradizionale, da vari tipi di Opera regionale a forme di spettacoli di cantastorie e così via. Il manifesto dell’Associazione sottolineava l’importanza dell’unione per la resistenza al Giappone: “la nostra unione è per resistere al nemico […] Solo la resistenza al nemico ha causato la nostra unione” [10 ]. Annunciava, inoltre, l’utilità del teatro nella resistenza popolare contro l’aggressione giapponese: “Per diffondere la propaganda contro il nemico tra le masse nelle campagne di tutto il paese, l’arma più efficace è senza dubbio il teatro, qualsiasi tipo di teatro” [11].
La necessità di andare nei villaggi di campagna, frase chiave del manifesto, era una posizione condivisa da tutti, ma per gli intellettuali di sinistra si sarebbe dovuto compiere un ulteriore passo in avanti addestrando i giovani contadini e lasciando poi che formassero essi stessi delle compagnie teatrali, unico modo per far sì che il nuovo teatro si radicasse veramente nelle campagne.
Data la funzione di propaganda assegnata al nuovo teatro, anche i contenuti delle rappresentazioni dovevano essere adattati alla situazione politica. Inizialmente si adattarono delle opere già esistenti, ma poi si passò direttamente alla scrittura di nuove opere teatrali esplicitamente e specificatamente contro l’invasione giapponese. Ad esempio, a questo periodo risale la creazione del dramma Fangxia nide bianzi (放下你的鞭子, Abbassa la tua frusta) che rappresentava le crudeltà compiute dai giapponesi e le sofferenze della gente in Manciuria. Rappresentazioni di questo tipo avrebbero provocato indignazione tra la gente dei villaggi, alimentando il sentimento di odio verso gli invasori giapponesi e ottenendo così lo scopo propagandistico prefissato.
I membri del Partito Comunista, consapevoli della difficoltà che avevano le masse contadine a comprendere e ad accettare forme teatrali troppo distanti dalla propria tradizione come poteva essere il teatro huaju con l’utilizzo di tecniche nuove, si sforzarono di creare una sorta di integrazione tra il teatro moderno e alcune forme del folclore cinese. L’esperimento più riuscito in questa direzione fu la trasformazione della danza campestre yangge (秧歌, Canto per la semina del riso) dello Shaanxi in una nuova forma drammatica. Originariamente si trattava di una forma di rappresentazione primitiva: un gruppo di venti o trenta uomini e donne (anticamente erano i ragazzi a danzare al posto delle donne) si fronteggiavano su due linee opposte cantando una canzone d’amore, sotto forma di botta e risposta, di complimenti reciproci, di schermaglie. La danza era semplice ma dal ritmo sostenuto: tre passi avanti e un salto indietro di lato. Anche i movimenti erano semplici, in genere con esplicite allusioni sessuali. Un comico fuori dal gruppo interpretava il buffone della situazione. Tamburi, gong, cimbali e il violino huqin suonavano forte e a non finire.
Durante la guerra, l’esercito comunista, che con la Lunga Marcia del 1934-1935 aveva stabilito la sua base nello Shaanxi a Yan’an, trasformò lo yangge da danza di corteggiamento a danza di propaganda politica: i danzatori si vestivano da operai, studenti, contadini, soldati o commercianti e rappresentavano tutte le classi del popolo, unite nella lotta contro il nemico invasore con canzoni che esprimevano le nuove idee politiche. Il nuovo yangge, benché visto con riserva dagli intellettuali, divenne sempre più popolare fino a trasformarsi in un vero e proprio dramma danzato le cui storie, con una struttura molto semplice, volevano promuovere la necessità di riforme, gli sforzi nazionali per sostenere la guerra di liberazione e l’Esercito popolare.
Di zona in zona, nelle aree sotto controllo delle forze rivoluzionarie, in quelle dove ferveva la guerriglia, queste forme teatrali furono riproposte con nuovi accenti da compagnie rurali erranti, da compagnie occasionali e dalle stesse che militavano nelle armate rosse, per la maggior parte composte da contadini. Gradualmente, con l’avanzare della guerra, anche gli intellettuali si convinsero che lo yangge poteva servire alla causa della resistenza, incoraggiati in questo dallo stesso capo del Partito Comunista, Mao Zedong, anche loro si dedicarono alla composizioni di drammi di questo tipo. Così, alla danza si aggiunse il dialogo, l’azione, una tematica più precisa e la forma dello yangge divenne più complessa. Uno degli esempi più riusciti fu l’adattamento di un’antica leggenda locale, quella della Ragazza dai capelli bianchi (Baimao nü, 白毛女) che raggiunse le quattro ore di spettacolo.
Questa leggenda racconta di Xi’er, una povera ragazza venduta dal padre ad un ricco proprietario per pagare l’affitto delle terre: violentata dal ricco proprietario e rimasta incinta, la ragazza scappa sulle montagne e vive nascondendosi in una grotta. Per questo motivo i capelli le diventano bianchi e quando appare tra i contadini viene onorata come un essere celeste. La leggenda fu riadattata e la storia trasferita nel contesto contemporaneo della lotta contadina: non venduta, ma rapita dal ricco proprietario, la ragazza fugge sulle montagne e dopo anni di stenti e di privazioni viene ritrovata dai combattenti rivoluzionari, riportata al villaggio e messa di fronte al suo persecutore sconfitto [12].
Il dramma ebbe subito una grande popolarità e divenne in breve tempo il simbolo della causa rivoluzionaria. Questa forma era adatta alla Cina contadina e popolare poiché era un teatro che i contadini potevano comprendere facilmente, conservava, infatti, tutte le caratteristiche esteriori del dramma classico come il dialogo alternato al canto, la presentazione dei personaggi, che raccontano al pubblico, di volta in volta, la propria storia passata o le proprie mosse, ma al contrario dell’Opera tradizionale trattava argomenti vicini al loro modo di vivere invece di parlare di re, regine e concubine, guerrieri feudali, fantasmi e giullari che dominavano l’immaginazione dei loro antenati in età ormai lontane.
Quest’opera fu rappresentata anche all’estero, in Russia e in Giappone, e tradotta in varie lingue, anche in italiano [13 ]. Vinse poi nel 1951 il premio Stalin per l’arte e la letteratura e inoltre, nello stesso anno, se ne fece anche un adattamento cinematografico. Per comprendere il significato e il seguito che ebbe quest’opera, basti pensare che nella primavera del 1958 se ne diedero a Pechino contemporaneamente quattro edizioni [14 ]: la prima presentava l’originale, due erano diversi adattamenti allo stile tradizionale, uno dei quali proprio all’Opera di Pechino, l’ultima fu presentata durante la tournée in Cina di una compagnia giapponese di balletti.
Oltre alle opere che riguardavano specificatamente la guerra contro il Giappone, si continuavano a scrivere opere dai temi storici per insegnare alle masse la storia del proprio paese, ancora una volta con l’intento di promuovere il patriottismo o la rivoluzione. I drammi storici, inoltre, avevano il vantaggio di non palesare apertamente l’intento di propaganda così da poter essere accettati anche nelle zone occupate dai Giapponesi.L’esempio più famoso di dramma storico di questo periodo è Bishang Liangshan (逼上梁山, Guidati alla rivolta) [15], rappresentata nelle zone rosse occupate dal Partito Comunista. L’importanza di quest’opera deriva dal fatto che fu una delle poche opere storiche alle quali Mao Zedong diede aperta approvazione. Questo dramma venne rappresentato per la prima volta nel dicembre del 1943 a Yan’an e poco dopo, nel gennaio del 1944, Mao scrisse una lettera agli attori lodandoli per aver messo in scena la storia fatta dal popolo e per aver sottratto il dominio della scena ai ricchi padroni e ai loro figli: “Avete corretto questo errore della storia e ristabilito la verità storica”, scrisse, “avviando quindi ad una nuova vita la vecchia Opera” [16].
Queste opere teatrali e il movimento per un teatro popolare da sviluppare soprattutto nelle campagne erano la concreta espressione della linea programmatica dettata nella conferenza tenuta a Yan’an nel maggio del 1942 sull’arte e la letteratura. Due interventi di Mao Zedong alla conferenza, raccolti e pubblicati con il titolo Discorsi alla conferenza di Yan’an sulla letteratura e l’arte [17], furono particolarmente determinanti nell’influenzare tutti i lavori scritti da quel momento in poi. Le idee avanzate da Mao in questa conferenza erano destinate ad occupare una posizione dominante nella società cinese, tanto da diventare poi delle vere e proprie direttive in base alle quali gli artisti e gli scrittori, i drammaturghi e gli attori, avrebbero dovuto regolare le proprie attività creative.
Nei Discorsi, Mao, partendo dal presupposto materialista secondo cui è la materia a decidere la natura della società, è la proprietà o meno di terre e di mezzi di produzione a determinare le classi sociali alle quali le persone appartengono e di conseguenza ciò che loro pensano e il tipo di arte che preferiscono, dà un’interpretazione della funzione dell’arte nella società ancora più radicale dei suoi predecessori. L’arte e la letteratura sono un’arma politica, ma non si tratta più di semplice promozione di riforme, ma di rivoluzione, in quanto il progresso della società risulta solo dal conflitto di classe, unico mezzo che determina il cambiamento.
Una questione importante nei Discorsi riguarda la natura stessa dell’arte: le opere d’arte e di letteratura, in quanto forme ideologiche, sono il prodotto del cervello umano in quel dato momento storico della società e per questo non possono che riflettere le società e, più specificatamente, le classi all’interno delle società e di conseguenza l’arte non può che avere uno stretto rapporto anche con la politica: “Nel mondo contemporaneo ogni cultura, ogni letteratura e ogni arte appartengono a determinate classi e seguono determinate linee politiche” [18].
Le arti non solo riflettono la società, ma la influenzano. È chiaro che la necessità di influenzare la società attraverso la creazione artistica era un aspetto centrale per Mao e i suoi sostenitori e lo fu anche negli anni successivi della storia cinese. Mao, all’apertura della conferenza, affermò che lo scopo dell’incontro era assicurare “che la letteratura e l’arte entrassero a far parte integrante dell’intero meccanismo della rivoluzione, operassero come un’arma potente per unire ed educare il popolo, per colpire e annientare il nemico” [19], che in quel momento era il Giappone. Data la stretta relazione con la società che riflette e che influenza, qualsiasi sia l’intento dell’artista, ogni forma artistica non può che essere una forma di propaganda. Non ci sono, inoltre, dei valori assoluti per giudicare l’arte, ma ogni particolare opera artistica assume un diverso valore a seconda della funzione che ha in una determinata società.
[…] Noi neghiamo non soltanto il criterio politico astratto, assolutamente immutabile, ma anche il criterio artistico astratto, assolutamente immutabile; ogni classe, in ogni società divisa in classi, ha i suoi criteri particolari, tanto politici che artistici. Ma tutte le classi, in tutte le società divise in classi, mettono sempre il criterio politico al primo posto e quello artistico al secondo. La borghesia ripudia sempre le opere letterarie e artistiche del proletariato, per quanto possano essere elevati i loro pregi artistici. Da parte sua, il proletariato deve determinare il suo atteggiamento verso le opere letterarie e artistiche delle epoche passate solo dopo aver esaminato quale posizione hanno nei confronti del popolo, e se hanno avuto o meno una funzione progressista nella storia. Alcune opere politicamente ultrareazionarie possono anche avere dei pregi artistici. […] Noi invece esigiamo l’unità tra la politica e l’arte, l’unità tra il contenuto e la forma, l’unità tra il contenuto politico rivoluzionario e una forma artistica possibilmente perfetta […] [20].
Un’altra questione importante che Mao affrontò nei suoi Discorsi fu la definizione del tipo di pubblico al quale l’artista si doveva rivolgere nella creazione dei suoi lavori. Come è facile immaginare, per Mao l’artista doveva rivolgersi alle masse, al popolo. Nel discorso di Yan’an spiegò con precisione chi erano le masse e a chi doveva essere rivolta l’arte e la letteratura:
[…] Le larghe masse popolari sono gli operai, i contadini, i soldati e la piccola borghesia urbana, che costituiscono oltre il 90 per cento della popolazione complessiva del nostro paese. Per questo la nostra letteratura e la nostra arte sono al servizio, in primo luogo, degli operai, la classe che dirige la rivoluzione; in secondo luogo dei contadini, il nostro alleato più numeroso e sicuro nella rivoluzione; in terzo luogo, degli operai e dei contadini armati […] forze fondamentali della guerra rivoluzionaria; in quarto luogo delle masse lavoratrici e degli intellettuali della piccola borghesia urbana, che sono pure nostri alleati nella rivoluzione e possono collaborare con noi per un lungo periodo […] [21].
L’arte, quindi, e in particolare quella teatrale, non doveva essere pensata per le elite e gli artisti si devono impegnare nel “popolarizzare” (rendere popolari tra le masse, come specifica lo stesso Mao nel suo discorso [22]) i loro lavori. Una volta create delle opere accettabili, è dovere degli artisti e degli intellettuali assicurare che le masse abbiano l’opportunità di apprezzarle e imparare da esse.
Arrivato a questo punto, Mao volle definire anche il profilo di coloro che creano l’arte. Secondo la visione materialista, l’abilità artistica non è innata, ma si sviluppa attraverso l’esperienza, per cui tutti sono potenzialmente capaci di apprezzare e creare l’arte e ognuno può diventare un’artista se si verificano le condizioni sociali giuste. È per questo che Mao tendeva ad enfatizzare il ruolo dei non professionisti: il lavoro di esperti e professionisti era certamente importante, ma essi dovevano prendere sul serio l’attività dei dilettanti e imparare da essa:
[…] I nostri specialisti devono essere al servizio non soltanto dei quadri, ma soprattutto delle masse […] i nostri specialisti di teatro devono interessarsi alle piccole compagnie teatrali nelle unità militari e nelle campagne; i nostri specialisti di musica devono interessarsi alle canzoni delle masse. […] Tutti questi compagni devono stabilire uno stretto legame con i compagni che svolgono il lavoro di popolarizzazione della letteratura e dell’arte tra le masse. Da un lato i nostri specialisti devono aiutarli e guidarli e, dall’altro, devono imparare da loro e, per loro tramite, assorbire la linfa che sgorga dalle masse per nutrirsi, arricchirsi e in tal modo evitare che la propria specialità si trasformi in un “castello d’aria”, staccato dalle masse e dalla realtà, privo di contenuto e di vita. […] [23].
La fonte per l’arte e la letteratura, inoltre, doveva essere la vita del popolo, che egli descrive come una miniera inesauribile di materiale per la letteratura e l’arte: “Si tratta di materiale allo stato naturale, di materiale grezzo, ma allo stesso tempo del materiale più vivo, più ricco e importante che vi sia. E, in tal senso, di fronte ad esso impallidisce qualsiasi letteratura, qualsiasi arte” [24 ].
Questo, per Mao, non significava, però, rigettare l’eredità degli antichi e degli stranieri, ma anzi bisognava “raccogliere tutto ciò che vi è di buono nell’eredità letteraria e artistica del passato, assimilare con spirito critico quanto vi è di utile e servirsene come un esempio” [25 ]. Mao Zedong diede una grande importanza a questi esempi, infatti, disse:
[…] C’è una differenza tra l’avere e non avere di tali esempi: da essi dipende se l’opera sarà rifinita o grezza, elegante o grossolana, se avrà un alto o un basso livello […] Per nulla al mondo possiamo quindi rigettare l’eredità degli antichi e degli stranieri, o rifiutare di prendere le loro opere ad esempio, anche se sono feudali o borghesi. […] [26 ]
I discorsi di Mao a Yan’an segnarono un punto decisivo che stabiliva il rapporto tra arte e politica: Mao dichiarò senza mezzi termini che era responsabilità delle autorità politiche stabilire come gli scrittori e gli artisti dovessero svolgere il proprio lavoro nella società, le linee dello sviluppo artistico dovevano essere determinate dalle direttive politiche, che avrebbero regolato tanto la forma quanto il contenuto delle opere letterarie e teatrali. Fu l’inizio, quindi, di quel processo che portò poi ad una completa subordinazione dell’arte e della letteratura alla politica.
La guerra contro il Giappone terminò nel 1945, ma nel 1946 iniziò la guerra civile che finì solo nel 1949 quando i comunisti sotto la guida di Mao Zedong fondarono la Repubblica Popolare Cinese, mentre Chiang Kai-shek e i nazionalisti furono confinati a Taiwan dove fondarono la Repubblica di Cina. Erano trascorsi quarant’anni dalla prima rappresentazione in stile occidentale, La dame aux camelias, del Salice di Primavera e il teatro huaju attraversò momenti di grande cambiamento, ma la connessione con le sue origini occidentali continuò a rimanere comunque forte ed evidente.
NOTE
[1] Cfr. C. Mackerras, Chinese theater: from its origins to the present day, Honolulu, University of Hawaii Press, 1988, p.150.
[2] Cfr. N. Savarese, Il racconto del teatro cinese, Roma, Carrocci editori, 1997, p.120.
[3] Cfr. C. Mackerras, op. cit., p.151.
[4] Cfr. W. Dolby, A History of Chinese drama, London, Paul Elek, 1976, p. 229.
[6] Cfr. C. Mackerras, op. cit., p. 148. Per l’originale cfr. Tian Han, Ouyang Yuqian et al. (a cura di), Zhongguo huaju yundong wushi nian shiliao ji, di yi ji (中国话剧运动五十年史料集,第一辑, Raccolta di materiale di cinquant’anni di storia del movimento huaju), pp. 305-307.
[7] Cfr. W. Dolby, op. cit., p. 232
[9] Cfr. Tian Han, Ouyang Yuqian et al. (a cura di), op. cit.,p. 17, cit. in C. Mackerras, op. cit., p. 151.
[12] Cfr. N. Savarese, op. cit. (1997), p. 123.
[13] La ragazza dai capelli bianchi, Firenze, 1952, e la stessa in Teatro uno, Torino, 1962.
[14] Cfr. R. Pilone, Teatro in Cina, Rocca San Casciano, Cappelli Editori , 1966, p. 59.
[15] Si tratta di un adattamento di un episodio del romanzo storico tradizionale del XV secolo, il Shui hu chuan (水浒传, Sul bordo dell’acqua, anche conosciuto in Italia con il nome I briganti), in cui un gruppo di 108 briganti, dimostrano la loro temerarietà e spietatezza, cercano di difendere I più deboli e gli inermi intervenendo là dove la giustizia non arriva. Venne così interpretata come un’opposizione allo sfruttamento del potere feudali contro il popolo dei più umili e venne riadattata in forma moderna negli anni Quaranta del Novecento.
[16] Cfr. L’originale cinese può essere trovato in Huang Yuchuan (a cura di), Mao Zedong shenping ziliao jianbian yibajiusan nian – yijiuliujiu nian (毛泽东审评资料简编一八九三年— 一九六九年, Edizione concisa di materiale esaminato e commentato da Mao Zedong anno 1893 – 1969), Istituto di Ricerca di Hong Kong, 1970.
[17] In cinese il titolo è Zai Yan’an wenyi zuotanhui shang de jianghua (在延安文艺座谈会上的讲话), pubblicato in Mao Zedong xuanji (毛泽东选集, Opere scelte di Mao Zedong), vol. III, Pechino, Renmin chubanshe, 1953.
[18] Cfr. Mao Zedong, Discorsi alla conferenza di Yan’an sulla letteratura e l’arte, Pechino, Casa editrice in lingue straniere, 1968, p.27.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
DOLBY William, A History of Chinese drama, London, Paul Elek, 1976.
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