Nel kabuki è evidente la preminenza dell’immagine sulla parola. Tutte le parti di cui si compone lo spettacolo sono al servizio del puro divertimento dello spettatore, un piacere innanzitutto visivo. Kawatake osserva che mentre nel teatro occidentale il processo di base è quello di portare avanti un grumo di emozioni per mezzo dello sviluppo e della risoluzione del contenuto drammatico dell’opera rappresentata, in Giappone, pur restando importante il contenuto drammatico, il principio su cui si fonda la performance è di procurare allo spettatore innanzitutto “un piacevole sentimento estetico direttamente attraverso i sensi”.[1]
Come sottolinea ancora Kawatake, in Giappone la catarsi (dal greco καταρσις, ”purificazione”) viene raggiunta con mezzi diversi da quelli adottati dal teatro in Occidente: nel teatro greco e più in generale in quello occidentale è attraverso l’argomentazione verbale che si persegue il confronto drammatico, mentre in Giappone ciò viene ottenuto facendo appello agli occhi e alle orecchie del pubblico attraverso le emozioni stesse.[2]
Le emozioni scaturiscono da un godimento estetico che nel kabuki è suscitato da molti elementi, cui occorre aggiungere l’uso ardito e sapiente di dispositivi scenici che appartengono solo al kabuki. Questi dispositivi sono innumerevoli, ma alcuni assumono una rilevanza testimoniata anche dall’interesse che, al loro riguardo, manifestarono registi e uomini di teatro europei, soprattutto nel corso della prima metà del XX secolo.
R.M.
NOTE
[1] KAWATAKE Toshio, Japan on Stage, Japan on Stage: Japanese Concepts of Beauty as Shown in the Traditional Theater, Tōkyō, 3A Corporation, 1990, p. 224.
[2] KAWATAKE Toshio, Japan on Stage, cit., p. 153.