Il teatro indiano d’attore – ovvero eseguito da uomini e donne – è stato variamente classificato:
* seguendo un’impostazione cronologica e quindi suddividendolo in teatro antico, medioevale e moderno;
* considerando la lingua usata – e in India sono almeno una quindicina gli idiomi con produzioni teatrali;
* distinguendo fra “classico” – e il teatro classico è per antonomasia quello in lingua sanscrita – e “popolare”, articolato in innumerevoli varianti regionali.
Per semplicità di esposizione si è preferito quest’ultima soluzione, riservandosi maggiori puntualizzazioni all’interno delle singole voci.
Benché la codificazione del teatro classico si debba al II/III sec. d.C., tuttavia la sua origine sembra risalire addirittura al II millennio a.C. Ritenuto dono degli Dei, fu potente strumento di diffusione dei grandi valori della cultura indiana e al tempo stesso via di elevazione spirituale, in quanto educava alla sublimazione delle emozioni. Benché oggi il teatro classico appaia obsoleto per le caratteristiche formali e per le tematiche lontane dalla realtà quotidiana, tuttavia colpisce ancora per la profonda capacità di esprimere i moti dell’animo. Se conservarlo intatto come un bene “archeologico” o rivisitarlo alla luce dei mutati gusti estetici, rimane un interrogativo su cui gli artisti indiani continuano ad interrogarsi.
Il teatro popolare si sfaccetta in una miriade di espressioni che costituiscono un mosaico affascinante e in perenne trasformazione, spesso non facile da studiare per via delle difficoltà linguistiche e dialettali e, in certi casi, per la presenza della sola tradizione orale. Eppure, in quello che appare come un “drammatico” caos esistono costanti ed elementi comuni che ancora una volta rendono valida la frase-chiave coniata dall’India per definire la propria cultura: unità nella diversità. A unire le varie rappresentazioni è l’essere umano con le sue comuni sofferenze, gioie e aspirazioni, a diversificarle è l’inesauribile creatività del genio umano.
M.A.