Nauṭaṅkī è una forma di teatro popolare sviluppatosi nel Nord dell’India – in Rajasthan, Panjab, Uttar Pradesh, Madhya Pradesh e Bihar – e differenziatosi localmente.
Secondo alcuni studiosi [1] il nome, abbastanza recente [2], deriverebbe da una delle opere più famose di questo genere, “Nauṭaṅkī shahzadi” ovvero “La principessa Nauṭaṅkī ”, composta nel 1906 da Muralidhar Kavi. La storia racconta le vicende amorose del principe Phul Singh del Panjab e della principessa di Multan, delicata come un fiore e di appena 36 grammi di peso. Il termine Nauṭaṅkī, infatti, è composto da nau, che significa “nove” e țakā, (forme dialettali țakkā e țaṇkī) che definisce una monetina di rame o argento di quattro grammi [3]. La principessa diafana e fatata è una delle protagoniste del folclore indiano e assume diversi nomi a seconda delle regioni.
Il repertorio della Nauṭaṅkī attinge alla grande epica sanscrita – “Mahābhārata”, “Rāmāyana”, “Purāṇa” – e alle loro versioni vernacolari, come il “Rāmāyana” di Tulsīdās in lingua hindī, alla letteratura devozionale [4] in lingua braj [5] – in particolare alle opere di Sūrdās e Nandadās -, al folclore locale nonché alla vita di tutti i giorni. Eroi mitici come Rājā Hariscandra, guerrieri invitti come il principe Amar Singh Rathore, amanti celebri quali Laila e Majnu si mischiano a contadini e commercianti, brahmani e asceti. Racconti di provenienza hindu affiancano altri d’ambito musulmano mentre, con il diffondersi dei film, storie attinte dal mondo di celluloide hanno rinnovato il repertorio della Nauṭaṅkī. La lingua è sia la hindī e i dialetti ad essa collegati – avadhī e braj -, che l’urdu.
La rappresentazione ha luogo all’aperto e si adatta alle possibilità offerte dallo spazio: può dunque dipanarsi nella piazza principale del villaggio, nel cortile della scuola o anche sulla piattaforma che precede la casa del committente dello spettacolo e che serve ad accogliere gli ospiti. Addirittura possono essere utilizzati balconi e verande per creare più livelli d’azione. Il palco, costituito da assi sovrapposte, può essere allestito sotto una shamiana, la tradizionale tenda multicolore sorretta da quattro pali lignei. Per gli spettacoli che hanno luogo in città, il contesto urbano e i rumori di sottofondo sono elementi fortemente condizionanti la performance.
Gli spettatori si distribuiscono su tre lati, uomini e donne separati, e lasciano aperto uno o più corridoi per il passaggio degli attori. Questi aspettano di entrare in scena o nel luogo in cui si sono truccati – la stanza della casa vicina o un’area separata da una tenda-, o, più frequentemente, siedono accanto all’orchestra. Una simile distribuzione dello spazio teatrale crea uno stretto rapporto con il pubblico. La gente va e viene a piacimento, cambiando posto se ritiene in tal modo di avere una migliore visione della rappresentazione.
Gli spettacoli si tengono per lo più in occasione di festività collettive, ma sono anche promossi da singole famiglie per la celebrazione di matrimoni o altre occorrenze. La rappresentazione comincia a notte inoltrata e si protrae fino all’alba, senza intervalli. Dopo la preghiera [6] iniziale in onore degli dei, del guru e dell’auditorio, il raṅga, narratore e maestro di scena, introduce cantando il racconto e nel corso della rappresentazione contestualizza e collega gli episodi fra loro. Progressivamente entrano gli altri attori – almeno due o tre – sostenuti da un suggeritore, che cantano e declamano le strofe principali anche tre volte, spostandosi a passo di danza verso i tre lati dell’auditorio, in modo da essere uditi da tutti. I dialoghi sono per lo più semplici e molto incisivi e la metrica attinge a quella sanscrita, hindī e urdu, alternando distici – i dohā, cantati liberamente senza scansione e accompagnamento musicale – e quartine – i caubolā vigorosamente sottolineati dalla musica e i dauṛ giocati sul crescendo musicale.
La musica è fondamentale: l’accompagnato è affidato principalmente alle percussioni, ovvero al naqqāra, il tamburo a una sola membrana percossa con due bastoncini, e al ḍholak, un altro tipo di tamburo, nonché alla sārangī, strumento a corde spesso oggi sostituito dall’harmonium. Le melodie attingono all’ambito classico, a quello popolare e ai film. Il dhrupad, uno dei più antichi e difficili stili vocali dell’India del nord che si sta purtroppo perdendo, si affianca ai più semplice dādrā e ḳhayāl, mentre la lāvaṇī, genere musicale profano diffuso in Maharasthra e Madhya Pradesh, si alterna alla ḳavvālī, musica devozionale dei mistici Sufi. Molti i rāga [7] utilizzati: Bhairavī, che sottolinea in modo particolare situazioni di dolore e separazione, Yaman, che accompagna le scene d’amore, e ancora Bilāval, Pīlū, Khammāc…
Per l’esecutore di Nauṭaṅkī la potenza della voce e l’enfasi espressiva sono fondamentali. La gestualità non è particolarmente sottolineata, il trucco è scarso mentre i costumi sono sgargianti, soprattutto quello del muṃśījī, il buffone, i cui interventi inframmezzano la rappresentazione.
Negli anni trenta del secolo scorso furono introdotte per la prima volta anche le donne [8], e il loro numero crebbe a seguito della messa fuori legge della prostituzione nel 1956, che vide molte prostitute versate nel canto e nella danza confluire nel teatro portandovi elementi nuovi ma anche, secondo un’opinione corrente, modalità lascive.
Gli spettatori partecipano attivamente alle rappresentazioni, esternando le loro opinioni in merito e manifestando l’apprezzamento con offerte di denaro. Il raṅga le accoglie e scandisce ad alta voce il nome del donatore. Si innescano così in molti casi competizioni fra gli astanti, che tentano di superarsi l’un l’altro con donazioni sempre più munifiche. Il fenomeno si è allargato proprio con l’introduzione delle attrici, di cui non si apprezzano più tanto le qualità canore quanto l’avvenenza e le movenze sensuali. Le performances piccanti meritano alle protagoniste della Nauṭaṅkī mazzette di rupie che vengono riposte in seno.
L’abilità dell’attore consiste nel cogliere l’umore del pubblico e di modificare improvvisando la rappresentazione, con spostamento di sequenze e inserimento di brani non previsti.
Oggi come un tempo gli attori sono riuniti in compagnie chiamate maṇḍalī, “gruppi”, o akhāṛā, “palestre”: questo secondo termine sottolinea l’attenzione alla preparazione fisica, tanto che alcuni attori sono anche provetti lottatori. Le compagnie sono aperte a persone provenienti da tutte le caste. Attualmente vi sono due scuole principali, entrambe in Uttar Pradesh: quella di Hathras, che enfatizza la musica e il canto, e quella di Kanpur, ove l’influenza del teatro parsi e della poesia urdu porta a privilegiare i dialoghi e la recitazione in prosa.
Tra il 1920 e il 1930 la Nauṭaṅkī subisce l’influenza del teatro parsi [9]: le rappresentazioni cominciano a tenersi in appositi padiglioni, i paṇḍāl, si introducono il sipario dipinto e alcuni fondali [10] e un sistema di illuminazione del palcoscenico mentre il pubblico viene accomodato frontalmente a questo e non più sui tre lati. Aumentano i dialoghi in prosa e s’inseriscono sempre più spesso gli interludi comici; la sāraṅgī è sostituita dall’harmonium.
Gli anni Cinquanta vedono un revival della Nauṭaṅkī: Habib Tanvir, famoso poeta, attore e direttore di teatro mette in scena “Miṭṭī kī gāṛī”, “Il carrettino di terracotta”, riedizione hindi del sanscrito “Mṛcchakaṭika”, composto da Śūdraka nel III sec. d.C., con inserimenti di stile nauṭaṅkī e grande scandalo dei puristi.
Nel “Folk Drama Festival” del 1961 Mohan Upreti e Inder Razdan, esperti di teatro e tradizioni popolari, e Suresh Awasthi segretario della “Sangit Natak Academy”, “Accademia Nazionale di Musica, Danza e Dramma”, presentano brani nauṭaṅkī. Nel 1970 Shanta Gandhi propone alla “National School of Drama” di New Delhi una versione nauṭaṅkī di “Amar Singh Rathor” [11] con aggiunte di mimo e movimentate coreografie. Sempre alla “National School of Drama” e ispirandosi alla Nauṭaṅkī, il famoso attore Giriraj porta in scena nel 1976 “Laila Majnu”, una delle più note storie d’amore popolari. Addirittura Bansi Kaul adatta “L’ispettore generale” di Gogol in stile nauṭaṅkī.
Accanto a queste nuove sperimentazioni condotte in ambiti ristretti, la Nauṭaṅkī ha progressivamente ampliato il repertorio, includendovi temi sociali e politici spesso scottanti. Inoltre, nata in contesto rurale, si è diffusa anche nelle aree urbane ad alta concentrazione di lavoratori immigrati dalle campagne, accogliendone le nuove istanze. Ne è un esempio la produzione di Nauṭaṅkī a Kanpur, città fortemente industrializzata, ove tale genere teatrale fu spesso guardato con sospetto per il carattere potenzialmente sovversivo delle rappresentazioni, fino al punto da essere bandito per un certo periodo e scoraggiato in seguito con il confinarlo fuori città e con l’imposizione di altissime tasse.
Comprendendo le notevoli possibilità comunicative della Nauṭaṅkī e il suo utilizzo quale strumento di educazione popolare, negli anni Settanta il grande attore nauṭaṅkī Pandit Ram Dayal Sharma [12] fondò il “Brij Lok Madhuri”, con l’intento di istruire gli artisti di Nauṭaṅkī, affinché mettessero in scena spettacoli su tematiche sociali quali il riscatto della donna, l’opposizione alla dote, il controllo delle nascite, la battaglia contro l’HIV eccetera, lavorando tra il 1999 e il 2004 di concerto con il Governo.
Numerose organizzazioni governative e non governative hanno adottato il mezzo dello street theatre [13] per stigmatizzare comportamenti sociali deleteri e indicarne le correzioni. Un caso notevole è rappresentato da “Nalamdana”, un’associazione fondata a Chennai dal 2000 e centrata sulla comunicazione educativa diffusa con video in lingua tamil ispirati al teatro popolare, che è impegnata fra l’altro nella formazione di giovani attori volontari operanti in un centinaio di villaggi del distretto di Krishnagiri.
Oggi la sopravvivenza della Nauṭaṅkī è minacciata dall’industria cinematografica e dalla televisione, che hanno modificato i gusti degli spettatori. Consapevoli di questo, gli impresari nauṭaṅkī hanno ridotto le rappresentazioni a due/tre ore ed hanno inserito duetti, canzoni e, soprattutto, danze più o meno piccanti in ossequio alla moda dilagante nei film. Secondo molti, ciò ha involgarito gli spettacoli e decretato la rapida decadenza della Nauṭaṅkī, dovuta anche alla poca professionalità degli artisti, al mancato sostegno governativo e alla scarsità di nuove opere.
Ma la Nauṭaṅkī è un teatro popolare, vivo, che dunque esplicita e segue le preferenze degli spettatori. La questione di come preservare la tradizione e la particolarità del genere, accogliendo al contempo le necessarie innovazioni, è un problema difficile. Il teatro popolare va preservato, ma non riproponendolo in maniera intellettualizzata o, peggio, conservandolo come oggetto da museo. Del resto, semplificando, si potrebbe dire che il teatro popolare descrive la realtà così come è e pertanto è in costante mutamento mentre il teatro classico la rappresenta come dovrebbe essere e finisce per cristallizzarsi.
Forse la sopravvivenza della Nauṭaṅkī risiede proprio nelle sue intrinseche caratteristiche, ovvero la capacità di rafforzare i legami d’identità culturale e di perseguire obiettivi comuni [14], promuovendo la collaborazione e l’armonia fra i diversi strati sociali [15], e soprattutto la forza comunicativa immediata, veicolata attraverso uno dei più antichi e potenti strumenti formativi: il teatro.
M.A.
NOTE
[1] Kathryn Hansen: Grounds for Play. The Nautanki Theatre of North India, University of California Press, 1992, Berkeley.
[2] Nei tempi più antichi era chiamato Swang.
[3] Secondo altre ipotesi il termine deriverebbe dalla cifra pagata per le rappresentazioni, ma sembra improbabile che ci fosse una quota fissa.
[4] La Nauṭaṇkī a soggetto religioso deriva dal più antico Bhagat, vedi voce di riferimento.
[5] Una delle forme medioevali della lingua hindī, sviluppatasi nell’Uttar Pradesh, nell’area fra Mathura e Vrindavan, centro del culto del dio Kṛṣṇa. In braj sono state composte alcune fra le più raffinate poesie devozionali hindu. In genere, quando la Nautankī è a carattere eminentemente religioso viene chiamata Bhagat.
[6] Può trattarsi della vandanā, un canto corale, e/o della bhenṭ, eseguita in a solo.
[7] I rāga sono le strutture melodiche fondamentali della musica indiana.
[8] Molto note furono Gulab Bai, mancata nel 1996, e Krishna Kumari.
[9] Vedi voce apposita.
[10] In genere tre, che rappresentano: la jungla, il bazar e la corte.
[11] Celebre eroe del Rajasthan.
[12] Interessante a questo proposito la dissertazione tenuta dal figlio Devendra Sharma all’Università dell’Ohio nel 2006: “Performing Nautanki: popular community folk performances as sites of dialogue and social change”.
[13] Rappresentazioni teatrali all’aperto, in luoghi di vario genere, spesso con intento educativo socio-politico e con attori non necessariamente professionisti.
[14] Per esempio la raccolta di fondi per templi, scuole, ospedali ecc.
[15] Gli spettacoli, aperti a tutti, sono momento d’incontro fra le caste e sottocaste e addirittura possono rappresentare occasioni di riconciliazione sociale. Vedi “Performing Nautanki: popular community folk performances as sites of dialogue and social change”, op. cit.